Meo risveglia vecchi ricordi. Santo Stefano, Bologna, Carlo Duran…

Accendo il telefonino, c’è un messaggio su WhatsApp. È Meo, ci siamo sentiti durante le feste, ci siamo fatti gli auguri. Mi ha mandato un messaggio vocale, dentro c’è l’amore per il pugilato, la tristezza per il momento che stiamo vivendo, la nostalgia per tutto quello che un tempo ci ha reso felici.
Quando la vita scivola via senza angosce, non ci accorgiamo delle piccole grandi cose che ci offre. Ci sembra che tutto sia dovuto. Quando però accade qualcosa che la sconvolge, e la pandemia è un autentico uragano che ha travolto persone e sentimenti, realizziamo che quelle piccole grandi cose ci mancano.
Meo Gordini ha la capacità di captare i segnali che sono nell’aria, l’abilità di trasformarli in parole, di sottolineare il momento con una frase, un ricordo.
Beh, ci ho girato fin troppo attorno. Ecco il messaggio che il mio amico Maestro ha lasciato sul telefonino.
“Ciao Dario, buon Santo Stefano, oggi ho nostalgia, mi manca la boxe. Ricordo quando Santo Stefano era diventato il giorno che celebrava la riunione madre di tutte le riunioni. Era un evento straordinario. Tutti gli anni si preparava questo appuntamento in tante città d’Italia, soprattutto in Emilia: Ferrara, Bologna, Piacenza e Reggio Emilia, dove si farà anche oggi. Era una cosa che ci distingueva dagli altri sport. Tutto si fermava. Il calcio e la pallavolo si fermavano, il fiore all’occhiello dello sport era l’arte pugilistica. Eravamo noi che diventavamo il centro dell’attenzione. Riempivamo i Palazzetti e la gente non vedeva l’ora di venirci a vedere, anche perché dopo due giorni di cappelletti eravamo quelli che facevamo digerire bene tutti. Quest’anno non ce ne sono. C’è solo una riunione a Reggio Emilia, nonostante tutto Cavallari ha voluto sostenerla, senza pubblico ovviamente. Speriamo che la boxe ce la faccia a ripartire. Un abbraccio forte”.
Me lo ricordo, o se me lo ricordo il Santo Stefano pugilistico. A Roma si combatteva al Palazzetto dello Sport di viale Tiziano. E c’era sempre un grande pubblico. Quelle riunioni erano una festa.
Anche Milano ne ha ospitati tanti.
E ricordo quel Santo Stefano a Bologna…

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Questa storia mi è sempre piaciuta. Appartiene a un’epoca lontana, oramai da quel giorno è passato più di mezzo secolo. Dentro c’è il sapore delle cose belle di una volta. L’ho già raccontata, ma quando arriva il periodo di Natale prepotentemente torna
nei miei pensieri. È come fare l’albero o il presepe. Ha un richiamo forte. 

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La voce inconfondibile di Fausto Leali usciva dalle finestre della casa al primo piano di un vecchio palazzo del centro storico di Bologna, tra Piazza Maggiore e la Basilica di San Petronio. In via Dè Pignattari, mi sembra.
A chi sorriderò,
se non a te.
A chi se tu,
tu non sei più qui.
Ormai è finita,
è finita, tra di noi.
Ma forse un po’ della mia vita
è rimasta negli occhi tuoi.
Un amore finito male. Una vicenda che ha niente a che fare con la nostra storia, ma quella canzone aveva conquistato tutti e sul piatto del giradischi la faceva da padrona. Impossibile non ascoltarla anche dalla strada.
Era un martedì, strano giorno per salire sul ring.
Quel 26 dicembre, anno di grazia 1967, si combatteva di pomeriggio e il Palasport era pieno. C’erano settemila persone nell’impianto di Piazza Azzarita. Erano venuti a vedere Carlo Duran che affrontava per la terza volta Ted Wright, pugile di colore dai capelli folti e ricci. Un peso medio di Detroit, molto conosciuto in Italia. Del suo match al Palasport di Roma contro L.C. Morgan, le iniziali stavano per Langstone Carl, se ne era parlato per anni.
Rino Tommasi, che l’aveva organizzato, diceva: “È il più bell’incontro che sia riuscito a mettere in piedi. Avevo promesso duecento dollari in più della borsa pattuita a chi dei due fosse riuscito a mandare al tappeto l’altro. Erano andati giù entrambi. Morgan ad inizio terzo round, Wright nel finale della stessa ripresa. Un gancio sinistro di Wright aveva chiuso la sfida. L’accoppiamento era nato da una mia intuizione. Avevo visto Morgan contro Campari e Wright contro Santini, così avevo deciso che i due avrebbero potuto dare vita a una sorta di grande battaglia spettacolare. Non mi ero sbagliato”.
Altri tempi.
Wright aveva incontrato Don Fullmer, Benvenuti, Griffith, Denny Moyer, Garbelli. Nominatene uno e lui l’aveva affrontato.

tris

Con Duran si era già battuto due volte, entrambe a Milano.
La prima il 22 novembre del ’63.
Una serata indimenticabile, la sera della grande tragedia. A Dallas, in un maledetto pomeriggio texano, era stato assassinato il presidente John Fitzegerald Kennedy.
La seconda il 7 febbraio del ’64.
Due risultati di parità.
La cosa strana però non erano i due pari, ma l’assenza a bordo ring di Augusta. La signora Duran non mancava mai a un incontro del marito. Nella prima occasione era in casa ad accudire Massimiliano, nato appena diciannove giorni prima. Nell’altra era alle prese con un’influenza. Del figliolo, non sua.
Ma a Bologna lei c’era e sedeva a bordo ring.
Dice Alessandro.
È stata sempre lì a soffrire per i suoi cari. Il nostro è un ambiente affascinante, ma difficile. Non ci si scambia carezze. Lei ci ha sempre lasciato libertà di scelta. Seguiva papà agitandosi sulla poltrona a bordo ring. Con noi a vincere era la paura. Vedere combattere i figli le creava ansie continue. Se ne stava lì in silenzio. Di papà era anche una tifosa, per noi è stata sempre e solo la mamma. È normale che fosse così. In palestra era il papà a comandare, ma in casa le cose cambiavano. È stata lei che si è presa cura delle nostre vite. A volte è stata anche la mamma di mio padre”.
Lei lì e i figli in casa.

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Ale aveva due anni. Ma già sentiva nell’animo la presenza forte del pugilato. Un ciondolo con due guantini in oro era stato il regalo di un amico del papà per il primo compleanno. Era ancora piccolo, ma neppure in seguito gli sarebbe stata concessa la presenza a bordo ring.
Dice Augusta.
E no! C’ero già io a soffrire. Vedere il papà combattere sarebbe stata per i ragazzi un’emozione troppo forte. Non era proprio il caso”.
Per Massimiliano il problema non poneva. Il fratello davanti alla tv, lui nascosto in un angolo della casa a tormentarsi le unghie senza guardare neppure un’immagine.

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Torniamo a quel Santo Stefano di cinquantatrè anni fa.
Carlo aveva vissuto la vigilia da vero professionista. Niente concessioni alle distrazioni, anche se il clima di festa lo avvolgeva come un panno caldo. Niente sgarri alla dieta e a qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto togliergli la giusta concentrazione.
Era andato al Palasport convinto che ne sarebbe uscito vincitore.
Quaranta giorni prima aveva conquistato il titolo europeo battendo Luis Folledo, pugile con 115 vittorie su 121 incontri, per kot alla dodicesima ripresa. E adesso era lì per conquistare un pubblico difficile come quello bolognese.
Prima del match clou c’era stata la sfida tra i mosca Vitantonio Mancini e Kid Miller. Quando era stato annunciato un verdetto di parità, sul ring era volato di tutto. Carta, monete, qualche scarpa. La gente non aveva gradito.
Alla fine era stata la volta di Carlo Duran e Ted Wright.

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L’americano aveva trent’anni e il meglio l’aveva già dato. Ma restava comunque un cliente molto scomodo. Anche perchè il ricordo delle prime due sfide faceva male.
Dice Gualtiero Becchetti, fratello di Augusta e cognato di Carlo. Ma soprattutto uomo di boxe da sempre.
Erano stati match duri, terribili. Soprattutto il primo. Non ricordo bene chi l’abbia detto, ma qualcuno ha definito quell’incontro come uno dei più terribili che si siano svolti a Milano. E poi una parte del pubblico era lì per tifare contro Carlo. Erano quelli che tenevano per Benvenuti e non vedevano di buon occhio l’argentino d’Italia”.
Nino quello stesso giorno era a Reggio Emilia per sostenere un’esibizione con Giulio Saraudi e Alfio Neri, in preparazione alla terza sfida con Emile Griffith che si sarebbe poi svolta il 4 marzo dell’anno dopo.
Il match tra Duran e Wright era stato meno intenso dei primi due. Nei quattro round iniziali il ritmo era stato lento, poi erano entrati nel vivo e se le erano date al punto da finire l’incontro entrambi segnati.
Duran aveva vinto chiaramente e quando era uscito dallo spogliatoio aveva trovato il caldo abbraccio di Augusta. Un bacio era stato il suo premio. Se ne erano andati via a braccetto. Carlo però si era fermato all’improvviso. Aveva stretto il braccio della moglie e con gli occhi aveva attirato la sua attenzione su una scena che non avrebbe mai dimenticato.
Tito Lectoure aveva preso il suo sacco e glielo stava portando fuori dal Palasport. Un gesto di grande affetto da parte di uno che all’epoca era tra i padroni del pugilato mondiale. Ma soprattutto un gesto distensivo che equivaleva a una stretta di mano, a una proposta di pace ritrovata.

tito

Carlo Duran era andato via dall’Argentina proprio a causa di una lite con il boss del Luna Park di Buenos Aires.
Voglio combattere con Sacco, fammelo affrontare”.
Carlos e Ubaldo Francisco erano i medi del momento in quel Paese.
Il figlio di Ubaldo Francisco, Ubaldo jr, sarebbe diventato campione del mondo dei superleggeri e avrebbe poi perso il titolo a Montecarlo contro Patrizio Oliva. Ma questa è un’altra storia.
Lectoure non voleva mettere su quella sfida.
Poi all’improvviso aveva fatto una telefonata.
Carlo, finalmente puoi incontrare Sacco”.
Non puoi chiamarmi a due settimane dal match, sono in vacanza. Non sono pronto”.
Se non sali sul ring contro di lui, non combatterai mai più in Argentina”.
Duran aveva allora deciso di andarsene.
La prima scelta era caduta sugli Stati Uniti, poi Ernesto Miranda l’aveva convinto ad andare l’Europa. Era così sbarcato in Italia, per poi fermarsi a vivere a Ferrara e mettere su famiglia in quella splendida città.
Adesso Lectoure aveva teso la mano.
Dimenicato il passato, di nuovo amici.
Carlo e Augusta avevano lasciato piazza Azzarita quando la sera bolognese stava ormai scivolando nel freddo della notte.
Erano tornati a casa, avevano dato un bacio a Massimiliano e Alessandro che già dormivano.
Finalmente le tensioni erano sparite.
Si poteva festeggiare il Natale anche in casa Duran.
Siamo la coppia più bella del mondo
e ci dispiace per gli altri
che sono tristi perché non sanno
il vero amore cos’è!
Era notte, eppure sembrava proprio di sentire nell’aria le voci di Adriano Celentano e Claudia Mori…

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