Salem si è battuto per il mondiale. Ora è accusato di avere ucciso la figlia

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È il 24 ottobre del 2019, una giornata stranamente calda per New York.Il parco di Bloomingdale è sulla costa meridionale di Staten Island, nel quartiere di Prince’s Bay. Ci sono molti ragazzi che corrono. Il tempo lo permette. Uno di loro improvvisamente si blocca. Gli sembra di vedere qualcosa, un grosso pacco, un animale, o chissà cosa altro. Si avvicina. È un corpo umano, nascosto sotto un doppio strato di foglie. È quello di una giovane donna. È morta.
La polizia arriva poco dopo.
Lei si chiamava Ola Salem, era una ragazza coraggiosa.
Era finita sul giornale una paio di anni prima. Una visita al Playland Park, con l’azienda dove lavorava, si era trasformata in una giornata da incubo. I gestori le avevano impedito di salire sulla giostra.
“Non provarci nemmeno!”.
“E perché non dovrei salire come hanno fatto tutte le mie amiche?”
“Perché hai quella cosa sulla testa, quel cappelletto, cosa è, una specie di foulard? Non provarci”.
“Questa non è una cosa, è la hjiab, il velo islamico. È la mia religione”.
Non era finita lì. Lei continuava a urlare i suoi diritti, quelli non sentivano ragioni. Ne era nata una rissa che aveva coinvolto quindici persone.
Ola era una ragazza coraggiosa. Un’avvocatessa che difendeva le donne mussulmane vittime di violenze domestiche.
Si era sposata, per poi separarsi. Una divisione turbolenta, con accuse reciproche di violenza. Lei era una donna forte, capace di difendersi. Aveva lavorato in una palestra, aveva fatto anche dei corsi di pugilato. Era una paracadutista abbastanza brava.
Ed è morta.

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La polizia non rilascia dichiarazioni. Alcune indiscrezioni dicono che sul corpo, interamente vestito, non sono stati trovati traumi provocati da corpi contundenti. L’unica certezza è il fatto che sia stata trascinata per una decina di metri.
Solo dopo qualche mese una fonte intera agli inquirenti parla di segni evidenti di strangolamento.
Ola Salem aveva 25 anni.

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Viene interrogato Kabary Salem, il padre.
“Lei aveva detto alla mamma di essere stata seguita sino a casa da qualcuno che non era riuscita a identificare”.
Poi aggiunge.
“Voglio sapere cosa è successo, ma nessuno me lo dice. Era davvero una ragazza bella e buona”.
Kabary Salem è stato un buon pugile.
Nato al Cairo, il 16 febbraio del 1968, lo chiamavano “Il Mago Egiziano”. Ha combattuto per la sua nazione all’Olimpiade di Barcellona 1992 e in quella di Atlanta 1996. Poi, è passato professionista. Una carriera in cui è arrivato ad affrontare Lucien Bute, Eric Harding, Antwun Echols, Mario Veit. Si è addirittura battuto contro Joe Calzaghe, il 22 ottobre del 2004, per il titolo WBO dei supermedi. È stato sconfitto ai punti e poco dopo si è ritirato con un record di 23-5-0, 12 ko.

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Un tragico ricordo.
Kansas City, Missouri, 12 settembre 1999.
Kabary Salem difende il titolo NABF contro Randie Carver. L’arbitro Ross Strada decreta il ko dello sfidante dopo 2:05 del decimo round. Carver è finito al tappeto. Per quattro volte ha provato a rialzarsi. Poi, ha perso conoscenza. I paramedici tentano di rianimarlo per circa venti minuti. Poi lo portano in ospedale, muore due giorni dopo.

Dopo la morte di Ola, Kabary lascia gli Stati Uniti per tornare subito in Medio Oriente.
Le indagini sembrano segnare il passo.
Il 31 marzo scorso il padre pubblica sul suo profilo Instagram una foto con la figlia. Sotto scrive: “Mi manchi, ti voglio bene amore mio Ola Kabary Salem”.
Silenzio sul caso.


Il 5 novembre il Gran Jury di Staten Island formalizza l’accusa di omicidio.
Cominciano le ricerche di Kabary Salem, accusato di avere ucciso Ola.
Il 3 dicembre è segnalato in Kuwait.
Pochi giorni dopo lo arrestano.
Venerdì scorso viene estradato negli Stati Uniti.
Sarà sottoposto a processo.
Nei banchi del tribunale, tra il pubblico, in attesa di capire, ci sarà anche Omar Kabary Salem. E il fratello di Ola, un altro figlio di Kabary. Anche lui è un pugile professionista. Ha 22 anni, milita tra i mediomassimi (9-0, 4 ko) e vive nella casa di famiglia a Brooklyn, dove è nato. Non combatte dal 27 aprile 2019, otto mesi prima dell’omicidio di sua sorella.

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