Uno dei colpi più duri in carriera l’ho subito da Gomeo Brennan.
Un montante destro al mento, mi ha fatto saltare
tutti e quattro gli incisivi inferiori”
(Sandro Mazzinghi, intervista del 30 maggio 2020)
Il suono è quello di quasi tutte le palestre. Una musica scandita da un ritmo che a volte mi fa venire in mente il rock, altre il tango, altre ancora il valzer. Solo che qui sono diversi i suonatori.
La palestra è all’angolo tra la Quinta e Washington Avenue, a South Miami Beach in Florida.
Il maestro di cerimonie è un omino, con un paio di grosse lenti su una montatura enorme poggiata su un naso importante, pochi capelli e uno sguardo da furbo.
Angelo Mirena è il suo nome, proprio come il papà che faceva il pastore a Roggiano Gravina in provincia di Cosenza e all’America, come dicono i migranti, asfalta le strade. Un calabrese, come la moglie Filomena Jannelli che lo aspetta in casa, cucina e bada ai figli. Parlano meglio il dialetto d’origine che l’inglese.
Angelo ha ereditato il nome d’arte dal fratello Joe, che quando saliva sul ring si faceva chiamare Johnny Dundee.
Angelo Dundee è nato a South Philadelphia, al numero 829 di Morris Street. Una zona piena di italiani. Sette figli, più due fratelli morti nell’epidemia di diarrea che nel 1917 ha fatto un’autentica strage in Pennsylvania.
Assieme a lui c’è Chris, il fratello. Hanno fondato questa posto, la “5th St. Gym”. Studiano pugilato da molti anni, l’università l’hanno fatta allo Stillman’s Gym di New York. Lì Angelo ha rubato i segreti a Ray Arcel, Charley Godman, Chickie Ferrara. Maestri di boxe con la cattedra da professori. Studiando e imparando anche lui è entrato nel giro che conta.
Il pavimento dalla palestra è stato calpestato da piedi nobili. Qui hanno sudato e sofferto Luis Manuel Rodriguez, Willie Pastrano e, soprattutto, Cassius Clay. Tra queste pareti ha lavorato Rocky Marciano.
E in qualche parte del tempio, in qualche tempo di questa vita, ha lavorato anche lui.
Gorman Donald Brennan, che tutti chiamano Gomeo.
È professionista da quando aveva 17 anni, nella prima stagione ha messo assieme diciotto match. È stato campione dei medi dell’Impero Britannico, ha combattuto dai welter ai mediomassimi.
Viene da Bimini, nelle Bahamas.
È in classifica, è un duro, ha un record di 70-16-6 con 34 ko all’attivo, ha affrontato gente tosta.
E adesso è sul ring del PalaEur di Roma.
È il 14 luglio del ’67.
Il destro alla mascella arriva improvviso. È uno di quei colpi che ti fa sentire le campane e scoprire un mondo fatto di fantastici colori.
Il dolore tormenta il corpo e il cervello di Sandro. Potrebbe finire qui. Istinto e natura lo spingono ad andare avanti, in fondo lo sanno tutti. È nato per combattere.
Sta per chiudersi la settima ripresa. Fino a questo momento il match è stato intenso e Mazzinghi è stato il migliore, ne sono tutti certi. Porterà a casa un’altra vittoria. Con fatica ma, lo farà.
Poi però, finisce la benzina. Così prova a chiuderla lì, con una lunghissima serie al corpo. Ma l’altro sembra fatto di marmo. Se ne sta sempre dritto, col viso truce, quasi voglia sfidarlo.
Sandro pensa sia arrivato il momento di riprendere fiato, guadagnare tempo, recuperare energie.
La boxe di alto livello però non concede il lusso di una pausa. A scatenare il dramma basta un mezzo passo all’indietro per respirare, basta lasciare che per un secondo le braccia non proteggano il viso.
Mazzinghi però uno stop, minimo, deve comunque prenderselo. Le forze cominciano a scarseggiare.
Si rilassa. È in quel preciso istante parte il colpo di Brennan. La botta arriva improvvisa, devastante.
Sandro fatica a restare in piedi. Il sudore gli scende dalla fronte, entra negli occhi, appanna la vista.
Scopre un mondo di colori che non sapeva esistessero. Pensava di averli visti tutti, anche i più rari. Pervinca, bianco fantasma, eliotropo, ecru, rosso falun, solidago. Questi potrebbe anche conoscerli, ma si fa cogliere del tutto impreparato davanti ai colori della meraviglia. Sono quelli che appaiono all’improvviso per uno strano incrocio di coincidenze.
Mancano tre riprese alla fine.
Cosa accadrà?
Niente di nuovo, perché l’uomo di ferro non si fa certo intimidire da una mazzata tra i denti.
Recupera forze e sicurezza, va avanti. Lui è un uomo senza paura, nato per combattere.
Riesce ad aggiudicarsi il finale del match. Il verdetto giustamente lo premia.
Ai punti.
Il ko no, non arriva. Non ce la fa a mandare al tappeto Gomeo Brennan, non riesce a chiudere come avrebbe voluto.
E allora la notte, si rigira a lungo nel letto senza riuscire a dormire. La mascella gli fa male.
Niente sonno, tanti incubi.
Cento domande a cui dovrà rispondere una ad una, se vorrà finalmente addormentarsi.
Alla fine capisce l’errore e fa una promessa a sé stesso.
“Non permetterò a nessuno di sorprendermi un’altra volta in calo di forze. Mi allenerò con una dedizione ancora maggiore“.
Chiunque raccogliesse questa confidenza, gli risponderebbe allo stesso modo.
Impossibile, allenarsi ancora di più proprio non si può.
Ma Sandro ha proprio lì il suo talento più grande, la capacità di soffrire. È nella natura della sua famiglia.
“Noi Mazzinghi il pane ce lo sudiamo. È un pane inzuppato nel rischio”.