Un cinico è un uomo che conosce
il prezzo di tutto e il valore di nulla.
(Oscar Wilde)
Siamo stati condannati a morte.
La colpa è un privilegio di cui spero possano godere anche coloro che ne parlano senza porsi alcun dubbio. L’età avanzata, l’anzianità, la vecchiaia. Ecco il nostro crimine, il reato per cui scatta la pena.
La società civile ha deciso il limite di età oltre il quale non si ha più diritto alla vita. Ho appena letto una dotta discussione su twitter, stesse ideologie ho riscontrato su altri social.
Sinceramente non so se la notizia rappresenti la verità. Non è questo che ha rovinato la mia giornata, a farmi male è stato il modo in cui è stata commentata. Dunque, il punto di partenza è l’evoluta Svezia: sembra che, in piena pandemia da coronavirus, neghi cure e aiuti agli over 80, che sia pronta a limitare l’accesso alla terapia intensiva anche agli over 60 che hanno già una patologia. Così ha scritto su twitter il dottor Roberto Burioni.
È inevitabile, chi non lo riconosce è un ipocrita.
La prima annotazione.
A seguire, una valanga di ciniche osservazioni.
Ipocriti cenciosi.
Calvinismo e ateismo vs cattolicesimo ipocrita.
I loro pareggi di bilancio sono fatti anche di questo.
Mi preparo. La prossima tappa saranno i disabili.
Il nostro è un Paese per vecchi, con i suoi 14 milioni di over 65 (oltre il 23% della popolazione). Siamo troppi, è ora di dare una bella sforbiciata a questi numeri
Ma, se la discriminante filosofica ed esistenziale deve essere questa, perché non allargare il campo?
Curarsi costa, non ci sono cure per tutti.
E allora che gli ospedali siano riservati ai ricchi, una selezione non più in base agli anni che passano, ma ai soldi che si hanno. Il nostro sistema sanitario nazionale, che non è gratuito come molti si vantano ma è a carico di chi paga le tasse e permette che si curino anche coloro che le evadono, non ha ragione di esistere. Basta. Non ci sono soldi per nuovi posti letto, per pagare medici, infermieri, medicinali, sale di terapia intensiva? Tagliamo gli insolventi, lasciamo che il diritto alla salute abbia come discriminante il censo.
È chiaramente una provocazione, lo preciso nel caso in cui parte del pubblico di riferimento faccia confusione.
Mi prendo una pausa, perché ci tengo a chiarire il punto.
Ho visto in televisione un medico parlare sullo stesso tema degli anziani. Era straziato dal dolore, angosciato, certo che quelle scelte avrebbero lasciato o lasceranno un solco incolmabile nell’anima di chiunque sia stato o sarà costretto a prenderle.
Quelli che leggo sui social, sono invece commenti di ghiaccio.
Inutili, perché entro pochi minuti torneranno acqua e finiranno nelle fogne. Che poi, in fondo, è il loro posto naturale.
Non mi scandalizzo per la situazione, mi inferocisco per il fatto che la si accetti senza avere neppure il minimo dubbio etico, una parvenza di rimorso, un sentimento preso di striscio.
In questo clima ideologico che mi riporta indietro nel tempo, fino ad approdare all’infelice stagione del nazismo, vorrei ricordare che nella categoria anziani ci siamo tutti. Noi, voi, i padri, le madri, i nonni, le nonne di questo mondo.
E allora mi chiedo: in che epoca viviamo?
Cercando di ridurre il peso sociale della pandemia avete trovato come soluzione quella di buttare a mare quella che, senza il minimo dubbio. considerate zavorra.
È normale!
Non ci sono cure per tutti.
Che dovremmo fare?
Continuate a parlare, a scrivere su qualsiasi social sia in grado di certificare la vostra esistenza in vita, senza accorgervi di quello che siete diventati, o forse siete sempre stati.
Riposate tranquilli.
Voi non morirete mai, per la semplice ragione che non avete mai vissuto.
“Che cosa vedi infermiere? Cosa vedi?
A cosa stai pensando quando mi guardi?
Vedi un uomo vecchio, irritabile non molto saggio,
dalle abitudini incerte, con gli occhi lontani
che dribbla il cibo e non dà alcuna risposta.
E che quando provi a dirgli a voce alta: ”almeno assaggia!”
sembra nulla gli importi di quello che fai per lui.
Uno che perde sempre il calzino o la scarpa,
che ti resiste, non permettendoti di occuparti di lui
per fargli il bagno, per alimentarlo e la giornata diviene lunga
Ma cosa stai pensando? E cosa vedi ?
Apri gli occhi infermiera! Perché tu non sembri davvero interessata a me.
Ora ti dirò chi sono, mentre me ne sto ancora seduto qui
a ricevere le tue attenzioni, lasciandomi imboccare per compiacerti.
Ho accettato l’offerta di nascere e ho mangiato secondo il loro piacimento.
“Io sono un piccolo bambino di dieci anni con un padre e una madre,
Fratelli e sorelle che si vogliono bene.
Sono un ragazzo di sedici anni con le ali ai piedi
che sogna presto di incontrare l’amore.
A vent’anni sono già sposo, il mio cuore batte forte
giurando di mantener fede alle sue promesse
A venticinque ho già un figlio mio
che ha bisogno di me e di un tetto sicuro, di una casa felice in cui crescere.
Sono già un uomo di trent’anni e mio figlio è cresciuto velocemente,
siamo molto legati uno all’altro da un sentimento che dovrebbe durare nel tempo.
Ho poco più di quarant’anni, mio figlio ora è un adulto e se ne va,
ma la mia donna mi sta accanto per consolarmi affinché io non pianga.
A poco più di cinquant’anni i bambini mi giocano attorno alle ginocchia.
Ancora una volta, abbiamo con noi dei bambini io e la mia amata.
Ma arrivano presto giorni bui, mia moglie muore.
Guardando al futuro rabbrividisco con terrore.
Abbiamo allevato i nostri figli e poi loro ne hanno allevati dei propri
e così penso agli anni vissuti, all’amore che ho conosciuto.
Ora sono un uomo vecchio e la natura è crudele.
Si tratta di affrontare la vecchiaia con lo sguardo di un pazzo.
Il corpo lentamente si sbriciola, grazia e vigore mi abbandonano.
Ora c’è una pietra dove una volta ospitavo un cuore.
Ma all’interno di questa vecchia carcassa, un giovane uomo vive ancora
e così di nuovo il mio cuore martoriato si gonfia.
Mi ricordo le gioie, ricordo il dolore.
Io vorrei amare, amare e vivere ancora
ma gli anni che restano son pochissimi tutto è scivolato via veloce.
E devo accettare il fatto che niente può durare”
Quindi aprite gli occhi gente, apriteli e guardate
”Non un uomo vecchio” avvicinatevi meglio e vedete ME!”
(Mark Filiser)
PIETAS. (Enciclopedia Treccani) Divinità astratta dei Romani, che esprime l’insieme dei doveri che l’uomo ha sia verso gli uomini in genere e verso i genitori in specie (“iustitia erga parentes pietas nominatur”, Cic., Part. or., 78), sia verso gli dei e che in questo caso s’identifica con la religione (“est enim pietas iustitia adversus deos”, Cic., De nat. deor., I, 116). Esempio solenne di questo doppio significato di pietas lo porge Enea, il quale, mentre compie verso il padre i doveri di figlio, compie anche scrupolosamente i doveri religiosi che la sua missione gl’impone.