HALL OF FAME ITALIA 3. continua
Le storie dei sei personaggi che,
il 26 ottobre a Castrocaro Terme,
entreranno a far parte della Hall of Fame Italia.
Il protagonista di oggi è Bruno Arcari.
Un carro armato, implacabile alla corta distanza. Due sole sconfitte: entrambe per ferita (quando era in chiaro vantaggio)…
di Vittorio Parisi
Pochi mesi più di nove anni fa mi trovavo a Los Angeles per il quarto match fra Israel Vazquez e Rafael Marquez, uno scontro che prometteva di essere epico come i tre precedenti e tale non fu. Terminata la riunione fui invitato a cena da un giornalista di The Ring Magazine, la rivista con cui allora collaboravo per le loro classifiche. Naturalmente si parlò quasi esclusivamente di boxe e presto si arrivò alla fatidica domanda.
“Secondo te quale è stato il miglior pugile italiano della storia?”
Premesso che non volevo esprimermi su ciò che non avevo visto di persona e che si trattasse comunque di una scelta molto difficile fra alcuni pretendenti” risposi: “Bruno Arcari”.
Non c’era voglia in me di stupire l’interlocutore, che probabilmente si aspettava tutt’altra risposta e che rimase abbastanza a bocca aperta perché di Bruno Arcari, che negli Stati Uniti aveva combattuto solo una volta nel sottoclou del terzo Benvenuti-Griffith al Madison Square Garden in un match su sei riprese il 4 marzo 1968, aveva appena sentito parlare.
Cominciai a spiegargli chi fosse questo guerriero laziale che aveva fatto base a Genova alla corte di Rocco Agostino per una carriera che si può definire solo straordinaria.
Due volte campione italiano fra i superleggeri fra i dilettanti, nel 1962 a Pesaro e nel 1963 a Modena, Arcari si era presentato da favorito alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 nella categoria dei pesi leggeri ma fu subito eliminato dal keniano Alex Ouando (a sua volta eliminato subito dopo) a causa di una ferita a un sopracciglio, un problema che avrebbe tormentato Arcari per tutta la carriera.
Anche il debutto professionistico del laziale finì male contro il modesto Franco Colella, sempre per ferita, e ancora una ferita costò ad Arcari la seconda e ultima sconfitta della carriera quando provò per la prima volta a vincere il titolo italiano dei pesi superleggeri a Senigallia contro Massimo Consolati, lo stesso avversario contro cui lo conquistò in seguito.
Se a quell’epoca fossero state in vigore le regole attuali con la possibilità di andare alla lettura dei cartellini in caso di ferita procurata da una testata involontaria, avremmo avuto in Bruno Arcari un pugile ritiratosi imbattuto.
Mancino brevilineo dotato sì di potenza, ma da considerarsi più un demolitore che un picchiatore, Arcari era un uomo che non ti lasciava respirare mai.
Serissimo nella preparazione come nella vita, Arcari non fu mai un personaggio come seppe esserlo, per esempio, Nino Benvenuti. Per questo motivo non ebbe il seguito che un personaggio pubblico riesce ad avere ma fu un pugile eccezionale. Aveva i suoi tifosi, ma non certo il codazzo di celebrità dell’ambiente dello spettacolo soprattutto romano o milanese.
Come avvenne per Benvenuti, la parte ascensionale della carriera fu costruita da Rino Tommasi, il principale organizzatore di quegli anni, e la misura esatta di quali fossero le possibilità di questo pugile si ebbe quando Arcari andò a battere il protettissimo austriaco Johann Orsolics nella sua Vienna e gli portò via il titolo europeo dei superleggeri.
Arcari poteva vincere solo prima del limite in quella tana ed è esattamente quello che fece il 7 maggio 1968 con un K.O.T al 12° round. Il titolo mondiale arrivò a Roma il 31 gennaio 1970 dopo un’epica battaglia contro il filippino Pedro Adigue, un indomito combattente con cui Arcari ingaggiò una battaglia furiosa. Ricordo ancora il viso sgomento del laziale quando nelle prime riprese dovette incassare un terribile colpo al corpo, ma Arcari era una roccia e superò anche quel momento. Il match lo si trova facilmente sul web e vale davvero la pena di (ri)vederlo. Il titolo era quello della WBA. Arcari non ha mai perso sul ring quel titolo, lo abbandonò solo verso fine carriera quando cominciò ad avere problemi di peso e passò nei welter. Molte volte si accennò alla possibilità di riunificazione prima con il formidabile argentino Niccolino Loche e poi con l’altrettanto formidabile colombiano Antonio Cervantes ma non se ne fece nulla.
Credo che molto dipendesse anche dal fatto che Arcari combattesse prevalentemente in Italia, all’estero il problema alle arcate sopracciliari avrebbe potuto costargli troppo caro con un arbitraggio di parte e così non se ne fece nulla. Ma l’Arcari che batté Adigue o quello che superò due volte, soprattutto la seconda, il brasiliano Joao Henrique era un pugile in grado di battere chiunque.
Non fu solo Henrique l’uomo di peso battuto da Arcari da campione del mondo. Ricordiamo lo spagnolo Domingo Barrera Corpas che fu messo K.O. e che con Loche aveva perso solo ai punti per split decision, il danese Joergen Hansen velocemente eliminato nella sua Copenhagen, il brasiliano di stanza in Italia Everaldo Costa Azevedo, un tecnico che non riuscì però a venire a capo del problema rappresentato da Arcari.
Quando divenne peso welter si favoleggiò persino di un incontro con il grande Jose Napoles, il cubano recentemente scomparso che aveva un problema analogo. Anche questo match non si è mai fatto e si è parlato anche del fatto che Napoles non fosse entusiasta di affrontare questo piccolo carro armato italiano.
L’ho già scritto,, ma mi piace ripeterlo: quando nel quartultimo incontro della carriera Arcari affrontò l’astro nascente Rocky Mattioli a Milano sulla distanza delle 10 riprese era in difficoltà nel finale. Tutti i pugili presenti al Palasport di San Siro scesero dalle gradinate e accorsero al suo angolo per sostenerlo in segno di grande rispetto e ammirazione.
Quando smise Arcari aveva 36 anni, un’età ragguardevole per un pugile in quegli anni e piano piano, senza clamori come nella sua natura, era quasi scomparso dalla scena continuando però a occuparsi di pugilato. L’ho conosciuto circa 15 anni fa quando fui invitato a una riunione in Federazione e lui era presente. Mi presentai emozionato di stringergli la mano e mi parve un uomo sorridente, tranquillo e giustamente appagato di quanto di grande aveva fatto.
Bruno Arcari non è mai stato eletto nella International Boxing Hall of Fame di Canastota, che mi risulti non è stato mai neppure preso in considerazione.
Non lo considero solo grave, lo considero un vero scandalo!
Nel nostro piccolo, adesso provvediamo noi.
BRUNO ARCARI
(1 gennaio 1942)
70-2-1 (38 ko, 52%)
Debutto: 11 dicembre 1964
Ultimo match: 7 luglio 1978
Mondiali
31 gennaio 1970 Pedro Adigue jr + p. 15
10 luglio 1970 Rene Roque + sq 6
30 ottobre 1970 Raimundo Dias + ko 3
6 marzo 1971 Joao Henrique + p. 15
26 giugno 1971 Enrique Jana + kot 9
9 ottobre 1971 Domingo Barrera + ko 10
10 giugno 1972 Joao Henrique + ko 12
2 dicembre 1972 Everaldo Costa Azevedo + p. 15
1 novembre 1973 Joergen Hansen + ko5
16 febbraio 1974 Antonio Ortiz + sq 8
3. continua (già pubblicati Primo Carnera di Gualtiero Becchetti, Sandro Mazzinghi di Dario Torromeo. Prossima puntata: Gianfranco Rosi di Andrea Bacci).