Ho scritto questo libro in chiaro conflitto di interessi.
L’oste della porta accanto, quello del titolo, è mio nipote.
Confesso la parentela, ma non credo che il testo ne risenta.
Sono rimasto affascinato dalla passione con cui L’Oste affronta il lavoro per proporci la sua cucina del sentimento.
Quello che segue è un estratto dell’Introduzione.
Cucinare è come amare,
o ci si abbandona completamente o si rinuncia
(Harriet Van Horne, giornalista americana)
Un calciatore si giudica dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia scrive e canta Francesco De Gregori.
E un oste, da cosa si giudica?
Dal sentimento, dall’amore che prova per il mestiere, dalla quantità e dalla qualità del lavoro che fa, dal rispetto per il cliente, dalla cura maniacale con cui cerca le materie prime.
Il romano, si sa, tende a esorcizzare la paura usando soprattutto l’ironia. Una battuta al vetriolo può mitigare anche l’immagine più drammatica.
Flavio De Maio, romano della Garbatella, la vena dissacratoria ce l’ha nel sangue. È anche per questo che racconta con un sorriso a mezza via tra il disincantato e il beffardo il modo in cui gli piacerebbe chiudere la vita.
«Quando verrà l’ora, se potessi scegliere come andarmene da questo mondo, mi piacerebbe realizzare una carbonara perfetta. E poi un infarto a chiudere con una malattia nobile e senza sofferenze la mia storia terrena. A ricordo eterno, una foto con il padellone tra le mani mentre manteco quel piatto».
Eh sì perché la carbonara è l’esame di laurea, il confine tra il bene e il male. L’esame fondamentale per l’oste romano.
«Mo me devi levà dar foco, sennò te frego».
Se avesse la parola, la carbonara probabilmente regalerebbe questo suggerimento.
Ma non ce l’ha e allora bisogna cavarsela da soli.
Un momento prima è acquosa, lenta.
Un attimo dopo è frittata.
L’acme dura un attimo, devi coglierlo al volo.
«La cucina romana è territorio di sfida. Non solo con gli altri, ma anche e soprattutto con te stesso. Il filo a cui è indispensabile aggrapparsi è la memoria, il ricordo di quell’odore di sugo con cui ti svegliavi la domenica mattina, un profumo che dava senso a tutta la giornata.
Non c’è un prontuario antico da seguire. Non esiste un libretto in cui sono raccolte le ricette o in cui sono incamerati dati, nomi, citazioni, calcoli e indicazioni su come realizzare un piatto. Le ricette si disperdono nel tempo. Ognuna fa capo a un’invenzione all’interno della famiglia. Una mamma, una sorella, un papà innamorato della cucina. Se il prodotto aveva successo, automaticamente si raccoglievano nuovi adepti che facevano proprio il modo di confezionare quel piatto. Nasce così, spesso e volentieri fondendosi con la tradizione ebraica, l’arte culinaria romana. È il prodotto di singole esperienze, elaborate nel tempo e fissate nella memoria nel giorno zero. Quando tutto è cominciato».
Flavio al Velavevodetto è nel cuore di Testaccio, territorio di Osterie, figlie di un Mattatoio che per decenni ha pagato l’extra ai suoi dipendenti offrendo loro frattaglie e carni provenienti dal mitico quinto quarto, espressione incomprensibile per chi non è di queste parti.
Il quinto quarto è quel che rimane della bestia vaccina o ovina dopo che sono state vendute le parti pregiate: i due quarti anteriori e i due quarti posteriori. Le due parole si fondono, sfruttando il gusto tipicamente romano della provocazione. I nobili prendevano le parti pregiate, i poveri si dovevano accontentare di quel che restava. Il quinto quarto, appunto.
Il libro è una visita guidata all’interno di questa Osteria del sentimento, tra i cocci a vista esposti dietro una vetrina d’inverno e liberati d’estate per regalare magicamente aria condizionata naturale agli ambienti. Sono gli stessi cocci che hanno dato nome al quartiere di Testaccio e scritto la storia di Roma.
Entriamo in cucina, ascoltiamo le voci dell’Osteria. Il personale è disposto in linea, come una squadra di rugby. Ognuno deve fare il massimo, lo chef è il capitano. Si vince tutti assieme, nel rispetto delle competenze.
Giriamo l’Italia seguendo i viaggi di Flavio alla ricerca delle materie prime. Lo accompagniamo nella scelta dei vini. Lo ascoltiamo mentre parla dei suoi piatti, prima le origini arricchite da gustosi aneddoti e poi la ricetta, così, per provarci anche noi. Perché dietro ogni preparazione non c’è un protocollo di realizzazione, a dargli corpo è quasi sempre la voce della memoria.
In questo mondo di passioni c’è però una nota che alle orecchie dello chef suona stonata. La voce dei critici del web, il popolo degli insultatori professionisti. L’Anonima Guerrieri della Tastiera si nasconde dietro un soprannome e, su quei siti che regalano loro spazio e visibilità, spara ad alzo zero anche senza conoscere la materia di cui parlano. Senza conoscerla realmente, non in senso figurato. Non sono mai entrati nell’Osteria e parlano di piatti che non hanno mai mangiato.
Non è così che va la vita.
Flavio sogna di tornare all’antico. Cucinare cibo e fare quattro chiacchiere con gli avventori, nel segno di una semplicità restituita al ruolo. Senza divismo e senza esagerazioni.
C’è odore di cucinato in queste pagine, un profumo che viene da lontano. Da quel sugo che mamma Gisa o addirittura nonna Rocca preparavano la domenica mattina. C’era tutto quello che la tradizione imponeva e ad arricchirlo c’era soprattutto la passione di donne che amavano profondamente quello che stavano facendo.
Flavio non ha dimenticato la lezione.
Domenica 15 ottobre, alle ore 16:30 in via di Monte Testaccio 97, presentiamo questo libro di racconti e ricette.
Potrete intanto trovarlo nelle migliori librerie e su tutti gli store online (Amazon, Ibs, Mondadori, Feltrinelli…).
“L’OSTE DELLA PORTA ACCANTO” di Flavio De Maio & Dario Torromeo. Edizioni Absolutely Free.
Flavio De Maio, romano della Garbatella, nella sua prima vita lavorava alla Datamat Spa: azienda di informatica in cui è rimasto per ventisei anni. Poi, l’illuminazione sulla via dell’arte culinaria. Per sei anni è stato da Felice a Testaccio, osteria in cui ha appreso metodologie di lavoro, scelta delle materie prime e rispetto per il cibo. In società con Marco Arduini ha aperto nel 2009 l’osteria Flavio al Velavevodetto a Testaccio e nel 2012 quella in Piazza dei Quiriti. Dal 2017 gestisce anche il ristorante Coqui Beach di Fregene.
Dario Torromeo, anche lui romano della Garbatella, ha lavorato per quarant’anni al Corriere dello Sport. Ha collaborato con GQ, il Messaggero ed Epoca. Scrive e, soprattutto, legge libri. Ama il cinema e la musica. Il cibo è la sua passione. È un banchettante professionista.