Messi non sarà mai Maradona / 2

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MESSI non sarà mai Maradona e vivrà per sempre con l’ombra di Diego sulle spalle. Alla gente, soprattutto ai giornalisti, piace fare paragoni. Mettere a confronto due talenti assoluti è un giochino che intriga molti. E se il tizio con cui ti confronti è un mito, sei condannato a fare miracoli per reggere la sfida.
Non sarà mai Maradona perché la sua è una storia diversa. Lui è cresciuto lontano dall’Argentina, aveva appena 13 anni quando è sbarcato a Barcellona. È lì che ha scritto la grande avventura.
Diego ha sempre avuto un legame più forte con la gente, è il campione del popolo. Il ragazzino povero che rincorre una palla di stracci per le strade di Buenos Aires. Ha lottato giorno dopo giorno per farsi largo. E alla fine li ha conquistati tutti.
Lionel Messi non avrà mai il carisma di Diego. Anche perché, paradossalmente, non ha mai avuto (per fortuna) i suoi eccessi.
Solo come poteva esserlo un tossicodipendente Diego si è sempre fatto accompagnare da un grave peccato: era ricco e popolare. Per questo il vizio non l’abbandonava mai, era diventato il compagno più fedele della vita. Era un santo peccatore che veniva celebrato in campo e accompaganto verso la distruzione quando usciva dallo stadio. Alla fine della corsa si era ritrovato sfatto, obeso, incapace di gestirsi, con il cuore di un’ottantene e il fisico che aveva assunto dimensioni inquietanti.
Ma pochi pensavano al dramma, alla vita ai confini della tragedia in cui si era cacciato. Poi con und dribbling dei suoi era riuscito a ritrovare la luce.
Sono sei anni che non mi drogo” aveva detto alla vigilia del Mondiale in Sudafrica nel 2010 in un’intervista alla televisione argentina.
Poco tempo prima si era sentito a un passo dalla morte.
Ho visto El Barba.”
Ed era tornato a vivere.

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Quel Mondiale sudafricano l’avevano vissuto assieme: Lionel in campo, Diego in panchina. Ed era stata una catastrofe: 0-4 contro la Germania nei quarti di finale.
Messi non si droga, non si ubriaca, non finisce sui giornali per casini di ogni tipo. Lui tiene un profilo basso, ha meno presenze sui tabloid.
E questo non aiuta…
L’eroe è quasi sempre maledetto, come se fosse questa la condizione indispensabile per ottenere la consacrazione. La gente se proprio è costretta a scegliere, li guarda in faccia, ripassa velocemente le loro storie e si riconosce in Diego. Il figlio che ti fa impazzire, ma poi ti ripaga dando tutto se stesso.
In campo e fuori El Pibe era uomo di grandi eccessi.
L’Argentina non dimentica.
Maradona nel 1986 è diventato campione del mondo con una squadra che schierava questi titolari: Pumpido, Cuciuffo, Olarticoechea, Brown, Ruggeri, Batista, Burruchaga, Giusti, Valdano, Maradona, Enrique. Spero sia chiaro a tutti…
Si giocava in Messico e un popolo intero aveva nel cuore il desiderio di vendicare la guerra delle Falklands prendendo a calci un pallone. A volte succede. L’occasione era arrivata.

Inghilterra
Il segno su quella Coppa era stato tutto suo. L’aveva lasciato in ogni minuto giocato, ma soprattutto nella sfida con l’Inghilterra. Prima con la “la mano di Dio”, poi con l’infinita corsa palla al piede verso la porta di Shilton. Cinque giocatori saltati con movenze da ballerino, talento d’artista e capacità di incantare come solo i grandi uomini di spettacolo sanno fare. Anche i difensori inglesi sembravano esserne affascinati. A qualcuno di loro era sembrato un fantasma, un folletto imprendibile. Andavano per randellarlo e si trovavano a colpire l’aria. Il gol più bello nella storia dei Mondiali. Quello che rimarrà per sempre nei nostri occhi.
L’Argentina di Messi i Mondiali non li ha mai vinti. Eppure lui ha segnato 42 gol in 92 partite con la maglia della nazionale. È un giocatore di grande talento, un fuoriclasse. Nella Liga in 277 gare col Barcellona è andato a segno 243 volte. Ha vinto tre Champions League, sei scudetti, per tre volte la Fifa gli ha assegnato il pallone d’oro.
Ha velocità di esecuzione, scatto, tocco magico e intuizioni geniali. Ma non sarà mai Maradona. Perché Diego era davvero capace di vincere una partita da solo. Come ha fatto, ad esempio, con il Belgio nella semifinale messicana dell’86: 2-0 per l’Argentina, doppietta del Pibe. E il secondo gol era stato ancora una volta un capolavoro. Quattro avversari saltati e palla in rete, roba che ti rimane nella testa per sempre.
Messi ha vinto tanto con il club, poco in nazionale. Era il centro del tiki-taka di Guardiola. È anche il perno attorno al quale  è stata da tempo costruita la squadra argentina, ma poche volte ha fatto girare tutto a meraviglia. In Brasile nella finale contro la Germania ha avuto tra i piedi la palla del gol che poteva metterlo in competizione col mito. L’ha sbagliata ed è stato risucchiato all’indietro. Non ha vinto da solo come Diego, ma non ha vinto neppure con una squadra a fianco.

Napoli-1987-1988
E poi gli manca la bacchetta magica, la capacità di vincere dove nessun altro è riuscito. I due scudetti con il Napoli (nella foto sopra con Giordano e Careca) e la Coppa Uefa hanno contribuito a fare di Maradona qualcosa di veramente speciale. Un dio del pallone capace di inventare qualsiasi prodezza, di realizzare imprese fino a quel momento inimmaginabili.
Messi non sarà mai Maradona e la finale contro la Germania l’ha confermato. Quaranta milioni di argentini lo stavano aspettando per dimenticare, almeno per un giorno, il peso della devastante crisi economica che incombe sul Paese. Non è giusto che il calcio sia usato come oppio dei popoli, lo so. Ma perché negare qualche ora di gioia, un sorriso in più e un momento di felicità? Solo perché è una partita di pallone a regalare tutto questo? Mi sembra ingiusto. Tutto questo l’Argentina chiedeva al Mondiale, Messi non è riuscito a darglielo.
Maradona divideva i suoi colpi di genio con il popolo. La cavalcata trionfale del secondo gol contro l’Inghilterra l’ho fatta tutta correndogli a fianco. Saltavo uno a uno i difensori inglesi come se fossero birilli e quando Shilton mi è venuto incontro, l’ho dribblato anche io e messa la palla dentro, ho alzato le mani al cielo ubriaco di felicità.
Messi mi sembra meno disposto a dividere le emozioni. Lo guardo, godo per il suo talento, lo applaudo, mi stupisco anche per le prodezze che sa propormi. Ma continuo a guardalo come si fa con un fenomeno che viene da un altro pianeta. Resta lontano, non mi contagia. Ammiro il suo talento, ma non ce la faccio proprio a sentirmi tutt’uno con lui.

Kover
Sono convinto che Leo Messi sia un fuoriclasse. Il migliore che ci sia oggi nel mondo del calcio. Ma Diego appartiene a un’altra categoria, lui è un mito. Per la capacità di vincere da solo, per la classe infinita, per le redenzioni e le ricadute, per quell’essere uomo sino in fondo. Con tanti difetti e altrettanti colpi di genio. Un uomo che mi ha sempre affascinato sul campo, che ho spesso condannato come peccatore: colpevole di autentiche nefandezze fuori dal calcio. Ma è anche per questo che gli argentini lo sentono più vicino a loro, lo sentono uno di loro.
E poi Messi non è mai riuscito ad alzare la Coppa…
Non è riuscito neppure a essere re per una notte, così nella storia il più grande resta lui.
Perché Diego Armando Maradona è inimitabile.

P.S. Questo è un articolo  che ho pubblicato a 48 ore dalla finale. Lo ripropongo, casomai a qualcuno fosse sfuggito, con qualche modifica: un piccolo aggiornamento in tempo reale. Il succo resta lo stesso della prima versione. Di Maradona ce ne è uno solo.


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