Mazzinghi, storia di un ritorno sul ring dopo sette anni

Bologna, sabato 31 ottobre 1970.
Sandro Mazzinghi batte per kot 8 Willie Warren.
Guido, il fratello, capisce che qualcosa gira per il verso storto.
“Sandro che c’è?”
“Niente.”
“E allora perché piangi?”
“Guido, finisce qui. Con il pugilato ho chiuso.”
“Sei stato grande Alessandro, hai preso la decisione giusta”.
Ha una bella famiglia, Marisa lo ama come il primo giorno. Da nove mese è nato David, il primogenito. I ricordi parlano di due mondiali conquistati, un europeo, una carriera che lo ripaga di sacrifici e dolori. Gli sembra che più che il fisico, a mancargli siano le motivazioni. Non c’è più rabbia. Se manca la spinta fondamentale, meglio smettere.
Bisogna partire da qui per capire sino in fondo cosa sia accaduto sette anni dopo.
Castellanza, 3 novembre 1977.
Studi di Antenna 3. Padrone di casa Enzo Tortora.
Sandro Mazzinghi torna a combattere.
È vero, l’avversario non è un fulmine di guerra. David Adkins ha comunque chiuso ai punti con onore contro Bunny Sterling, Tony Licata, Mike Rossman e Aldo Traversaro. E poi Sandro ha 39 anni, da sette è lontano dall’agonismo. La famiglia si è allargata. Accanto a David, quasi otto anni, adesso c’è Simone di 5. E ci sono la villetta a Cascine di Buti, le rose in giardino e i vigneti tutti attorno. 
Ma Sandro ha deciso di tornare. E se si mette in testa una cosa, non c’è mago al mondo che possa fargli cambiare idea. Parla con Marisa. Ne discutono a lungo. Solo lei sa come lui l’abbia convinta.
Adkinson è già al suo angolo.
Sandro lo raggiunge.
Un pugile porta sul ring la sua intera vita. Le gioie, le delusioni, la povertà e la ritrovata serenità, gli inganni subiti da chi credeva persona fidata e gesti d’affetto degli amici sinceri. Sulle sue spalle Sandro deve sostenere anche il peso dell’amore per le tre persone che gli sono più care al mondo. Marisa, David, Simone.
Gong, primo round. Si va alla guerra. Una pacca di Guido sulle spalle, un’occhiata con il manager di sempre Adriano Sconcerti, e via.
Un match così non si può raccontare usando come chiave di lettura la tecnica, lo stile, il punteggio sui cartellini. Qui a fare la differenza sono le emozioni che ciascuno è capace di regalare. E in questo Sandro è un maestro.
Parte come se non ci fosse un domani.
Qualcuno sottolinea l’errore. Giusto, se fosse un incontro normale. Ma qui in gioco non c’è né un titolo né una cintura speciale, c’è una reputazione conquistata con dolore, sudore e sangue. È il bene più prezioso che Sandro abbia mai portato a casa. E allora che battaglia sia, difenderà l’onore sino in fondo. È una lotta veemente, a volte anche scriteriata, sì. Ma sul ring Sandro porta anche il ricordo del suo passato. Il rispetto conquistato sempre attraverso il dolore. 
Tre round condotti con il motore spinto al massimo, risultati non pari alla fatica. Questo per gli altri. A lui tutto quella vigoria, quei colpi tirati in serie anche se non sempre a bersaglio, sono serviti a dargli sicurezza. La sicurezza di non essere un ex, di non essere un patetico vecchietto in cerca di aiuto.
È un pugile quello che vediamo assalire Adkins. Si espone in eccesso pur di andare a bersaglio. Vero, come è vero che Sandro, adesso che è diventato consapevole di non vivere solo di ricordi, può diventare pericoloso.
È dalle tre riprese di follia pugilistica che nasce il gancio sinistro al fegato che mette al tappeto lo statunitense nel quarto round. Il rivale arrivato da Boston. subisce il conteggio. Si ricomincia. Con le sofferenze, con i momenti belli e quelli brutti. E alla fine arriva la vittoria, arrivano gli applausi. 
Sorride con gli occhi, Sandro. Non ce la fa a sorridere con il volto. È contento, ma dannatamente stanco.
“Si fa fatica lassù” si limita a dire, grondando sudore, a chi gli chiede cosa provi.
Ecco, il match ritrovato l’ho vissuto così. Con la gioia che si prova quando hai tra le mani la vecchia foto di un amico. Un’immagine che pensavi avessi perso per sempre. E in quella foto scopri che l’amico Sandro portava più sul volto che nel fisico i segni del tempo che passava. Di certo, non aveva perso la voglia di aggredire la vita, pur di farsi dare quello che pensava fosse suo.
E in un attimo l’ho ritrovato. Era proprio lui. 
Sandro Mazzinghi, l’Uomo senza paura, è tornato a combattere.

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