Indispensabile premessa.
Pamela Noutcho Sawa merita, come pugile e come donna, il titolo mondiale che ha appena conquistato.
Quello disputato il 7 novembre scorso al PalaDozza di Bologna, è stato un match sul filo dell’equilibrio e ben combattuto sia dall’italiana che dall’argentina Karen Elizabeth Carabajal. In palio il titolo dei pesi leggeri IBO.
Due giudici hanno stilato cartellini che testimoniano questa realtà.
Matteo Montella 95-94 per la Noutcho.
Giulio Piras 95-94 per la Carabajal.
Ogni maestro, spettatore, pugile può avere individuato la sua vincitrice, tanto incerto è stato il combattimento.
Questi i fatti, ma assieme a questi ci sono altri fatti che suggeriscono due domande.
Un’italiana contro un’argentina, per una corona vacante.
Tre giudici italiani a stilare il verdetto.
L’International Boxing Organization lo ha permesso.
Uno dei tre è un tesserato di Bologna, città in cui vive e lavora l’italiana impegnata nell’incontro.
Nessun dubbio sull’onestà del giudice in questione.
Il tesserato bolognese Alessandro Roda stila un cartellino che alla fine recita 97-92.
Considerando che l’IBO spinge a non concedere più di un round pari, quel giudice deve avere visto OTTO riprese per la Noutcho e DUE per la Carabajal. Probabilmente la settima, con un margine di due punti generato dal conteggio subito dall’italiana e un’altra che non è importante nel nostro caso individuare.
OTTO riprese a DUE.
Concludo con le due domande.
Come è possibile designare tre giudici italiani (uno addirittura della stessa città di una pugile impegnata nel titolo) per un campionato del mondo che vede sul ring un’italiana contro un’argentina?
Come può esserci, in dieci riprese, una discordanza di sei punti tra due giudici chiamati a gestire un campionato del mondo?


Lascia un commento