La magia di un Santo Stefano speciale, a Ferrara. Cinquantotto anni fa…

Era un martedì. Uno strano giorno per salire sul ring.
Ma era anche il 26 dicembre, si combatteva di pomeriggio e il Palasport di Bologna era pieno. C’erano settemila persone nell’impianto di Piazza Azzarita. Erano venuti a vedere Carlo Duran che affrontava per la terza volta Ted Wright, pugile di colore dai capelli folti e ricci. Un peso medio di Detroit, ben conosciuto in Italia. Del suo match al Palasport di Roma contro L.C. Morgan se ne era parlato per anni.
Altri tempi.
Wright aveva incontrato Don Fullmer, Benvenuti, Griffith, Denny Moyer, Garbelli. Nominatene uno e lui l’aveva affrontato.

Con Duran si era già battuto due volte, entrambe a Milano.
La prima il 22 novembre del ’63. Una serata indimenticabile, soprattutto perché era lì che pugili e pubblico avevano saputo della tragedia di Dallas. Il presidente John Fitzegerald Kennedy era stato assassinato in un maledetto pomeriggio texano.
La seconda il 7 febbraio del ’64.
Due risultati di parità.
La cosa strana però non erano i due pari, ma l’assenza a bordo ring di Augusta. La signora Duran non mancava mai a un incontro del marito. Nella prima occasione era in casa ad accudire Massimiliano, nato appena diciannove giorni prima. Nell’altra era alle prese con un’influenza. Del figliolo, non sua.
Ma a Bologna lei c’era. Sedeva a bordo ring.
Dice Alessandro.
È stata sempre lì a bordo ring a soffrire per i suoi cari. Il nostro è un ambiente affascinante, ma difficile. Non ci si scambia carezze. Lei ci ha sempre lasciato libertà di scelta. Seguiva papà agitandosi sulla poltrona a bordo ring. Con noi a vincere era la paura. Vedere combattere i figli le creava ansie continue. Se ne stava lì in silenzio. Di papà era anche una tifosa, per noi è stata sempre e solo la mamma. È normale che fosse così. In palestra era il papà a comandare, ma in casa le cose cambiavano. È stata lei che si è presa cura delle nostre vite. A volte è stata anche la mamma di mio padre.


Era il 26 dicembre del ’67, Ale aveva due anni. Ma già sentiva nell’animo la presenza forte del pugilato. Un ciondolo con due guantini in oro era stato il regalo di un amico del papà per il suo primo compleanno. Era ancora piccolo, ma neppure in seguito gli sarebbe stata concessa la presenza a bordo ring.
Dice Augusta.
E no! C’ero già io a soffrire. Vedere il papà combattere sarebbe stata per i ragazzi un’emozione troppo forte. Non era proprio il caso”.
Per Massimiliano il problema non si sarebbe mai posto. Il fratello davanti alla tv, lui da un’altra parte a tormentarsi le unghie, ma senza guardare un’immagine.
Carlo aveva vissuto la vigilia da vero professionista. Niente concessioni alle distrazioni, anche se il clima di festa lo avvolgeva come un panno caldo. Niente sgarri alla dieta e a qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto togliergli la giusta concentrazione.
Era andato al Palasport convinto che ne sarebbe uscito vincitore.
Quaranta giorni prima aveva conquistato il titolo europeo battendo Luis Folledo. E adesso era lì per conquistare un pubblico difficile come quello bolognese.



Il ricordo delle prime due sfide faceva male.
Dice Gualtiero Becchetti, fratello di Augusta e cognato di Carlo, ma soprattutto uomo di boxe da sempre.
Erano stati match duri, terribili. Soprattutto il primo. Non ricordo bene chi l’abbia detto, ma qualcuno ha definito quell’incontro come uno dei più terribili che si siano svolti a Milano. E poi una parte del pubblico era lì per tifare contro Carlo. Erano quelli che tenevano per Benvenuti e non vedevano di buon occhio l’argentino d’Italia”.
Il terzo match tra Duran e Wright era stato meno intenso dei primi due. Carlo aveva vinto chiaramente e quando era uscito dallo spogliatoio aveva trovato il caldo abbraccio di Augusta. Un bacio era stato il suo premio. Se ne erano andati via a braccetto. Carlo però si era fermato all’improvviso. Aveva stretto il braccio della moglie e con gli occhi aveva attirato la sua attenzione su una scena che non avrebbe mai dimenticato.
Tito Lectoure aveva preso il suo sacco e glielo stava portando fuori dal Palasport. Un gesto di grande affetto da parte di uno che all’epoca era tra i padroni del pugilato mondiale. Ma soprattutto un gesto distensivo che equivaleva a una stretta di mano, a una proposta di pace ritrovata.


Carlo Duran era andato via dall’Argentina proprio a causa di una lite con il boss del Luna Park di Buenos Aires.
Voglio combattere con Sacco, fammelo affrontare”.
Carlos e Ubaldo Francisco erano i medi del momento in quel Paese.
Il figlio di Ubaldo Francisco, Ubaldo jr, sarebbe diventato campione del mondo dei superleggeri e avrebbe poi perso il titolo a Montecarlo contro Patrizio Oliva. Ma questa è un’altra storia.
Lectoure non voleva mettere su quella sfida.
Poi all’improvviso aveva fatto una telefonata.
Carlo, finalmente puoi incontrare Sacco”.
Non puoi chiamarmi a due settimane dal match, sono in vacanza. Non sono pronto”.
Se non sali sul ring contro di lui, non combatterai mai più in Argentina”.
E lui aveva deciso di andarsene.
Era sbarcato a Ferrara, aveva messo su famiglia in quella splendida città.
Adesso Lectoure aveva teso la mano.
Dimenticato il passato, di nuovo amici.
Carlo e Augusta avevano lasciato piazza Azzarita quando la sera bolognese stava ormai scivolando nel freddo della notte.
Erano tornati a casa, avevano dato un bacio a Massimiliano e Alessandro che già dormivano.
Finalmente le tensioni se ne erano andate.
Era Natale anche in casa Duran.
Siamo la coppia più bella del mondo
e ci dispiace per gli altri
che sono tristi perché non sanno
il vero amore cos’è!

Era notte, eppure sembrava proprio di sentire nell’aria le voci di Adriano Celentano e Claudia Mori…


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