Ricky Hatton, più volte campione del mondo dei superleggeri e dei welter, è morto a 46 anni, appena due mesi dopo aver annunciato il suo ritorno sul ring dopo 13 anni di assenza. Hatton è stato trovato senza vita nella sua casa di Hyde, nel nord-ovest dell’Inghilterra. La polizia ha dichiarato di non trattare il decesso come un caso sospetto.
Sul ring era un guerriero senza paura. Fuori non è mai stato troppo sicuro di sé. Per allontanare i fantasmi della solitudine, mangiava. Tanto, troppo. E beveva. Lontano dal match riusciva ad andare anche venti chili fuori peso. Ma sapeva anche fare di peggio.
Qualche anno prima di chiudere i suoi tre lustri di militanza nella boxe professionistica, aveva imboccato il tunnel nero. Quel posto apparentemente senza fine dove vanno a cadere tanti sportivi di successo.
Aveva cominciato a bere. Andava al pub, si nascondeva in un angolo buio sperando che nessuno lo notasse, e mandava giù alcool come se fosse acqua. Dopo un po’ cominciava a piangere istericamente.
Aveva raccontato lui stesso, alla Bbc Radio, di come dall’alcol fosse passato alla droga, per precipitare infine nel nulla assoluto della depressione più cupa.
Prendevo un coltello, mi nascondevo dal mondo e pensavo fortemente che avrei fatto meglio a uccidermi. Il suicidio mi sembrava l’unica soluzione per uscire da una vita infelice. Ho anche cercato di ammazzarmi bevendo fino a morire.
L’alcolismo è stato il primo dei suoi mali a essere curato. Con depressione e droga è stata più dura.
Gli serviva qualcosa per allontanarsi dalla realtà. Riusciva a pensare solo al male.
La povertà da cui veniamo non ci aiuta a gestire il futuro lontano dallo sport. Per me il problema è iniziato dal primo giorno, credo. Ero solito diventare paranoico. Ho fatto nove combattimenti nel mio primo anno da professionista, quindi ero sempre in palestra e non incontravo nessuno dei miei amici. Loro dicevano: «Ti ho visto in tv. Ora sei una superstar, vero?» E io pensavo: «Credono che io sia troppo grosso per i miei stivali». Erano orgogliosi di me, mi amavano, ma nella mia mente… E quando Mayweather mi ha messo ko, dopo che io avevo detto alla gente «puntate la vostra casa sulla mia vittoria», mi sono convinto che non sarei più potuto uscire di casa. Mi sentivo così imbarazzato! Ho annullato tutti i miei appuntamenti, gli impegni, tutto. Quando finalmente sono uscito, camminavo per strada e pensavo: “Tutti ridono di me”.
(Hatton, documentario Sky diretto da Dan Dewsbury e prodotto da Noah Media Group).
Qualcosa si è rotto dopo la sconfitta contro Floyd Mayweather Jr in un match a cui era arrivato dopo 43 successi consecutivi. Ha lasciato il pugilato con due titoli mondiali in bacheca. È stato un campione. Sul ring non ha mai avuto paura di niente e di nessuno. Ma si è accorto presto che la vita fuori dallo sport era per uomini duri, tosti dentro, forti nella testa più di quanto lo fossero nel fisico.
Ha sconfitto Pendleton, Phillips, Tszyu, Castlillo, Malignaggi. Il 24 novembre del 2012 ha disputato l’ultimo incontro. Ha perso per ko alla nona ripresa contro Vyacheslov Senchenko (32-1-0, 22 ko). Nella conferenza stampa del dopo match aveva annunciato il ritiro.
A quarantatré anni, nel 2022, era tornato sul ring.
Aveva sudato, lavorato in palestra, sopportato una dieta ferrea. E alla fine ce l’aveva fatta. Era ingrassato oltremisura nei dieci anni di inattività, aveva tolto il grasso in eccesso e buttato via anche il poco simpatico soprannome che si era dato: Fatton. Aveva postato sul suo profilo Instagram la foto del prima e del dopo. E il 2 luglio, a Manchester, era salito sul ring per un’esibizione in otto riprese assieme al tre volte campione del mondo Marco Antonio Barrera, quarantotto anni, da undici lontano dal ring. Un’esibizione. Niente cartellini, niente vincitore, niente esagerazioni. Il ricavato sarebbe andato in beneficenza. Un pugile quando scende dal ring inizia la sua battaglia più dura.
Crescere in un pub mi ha insegnato molto sulla vita. Da dietro il bancone vedevi un sacco di belle persone, ma vedevi anche un sacco di stronzi. Ogni giorno c’era gente che entrava ubriaca, sapevo che non sarei voluto finire così. Penso che mi abbia motivato a rimboccarmi le maniche e a lavorare sodo. I miei genitori avevano quattro pub quando eravamo piccoli, ma il principale era il New Inn a Hattersley, nella tenuta. Era un ottimo pub. Raramente qualcuno scatenava una rissa, ma ogni tanto accadeva. Ho visto mia mamma buttare giù un po’ di gente nel corso degli anni, chiedeva un bicchiere, loro si rifiutavano e lei li metteva giù. Non si scherzava con mia mamma.
(Anna Kessell, intervista a Ricky Hatton, «The Guardian», 1° febbraio 2009)
Non si è mai voluto allontanare dai luoghi della giovinezza.
Non saprei vivere altrove.
Non ha mai lasciato Hattersley, quartiere popolare dieci miglia a est di Manchester. Quando la famiglia è arrivata da quelle parti, il quartiere era stato appena costruito sulle macerie delle baraccopoli di Ardwick, Gorton e Belle Vue.
Hyde non è Manchester. È un posto piccolo, rientra nei confini del Cheshire e non ha assolutamente nulla in comune con i villaggi viziati nel sud di quella contea popolare tra gli attori e i calciatori. Zone non troppo familiari ad Hatton.
Tutto quello che ho fatto in questo mondo è provare a fare del bene. Ai miei figli, ai miei amici e alla mia famiglia. Questo è tutto ciò che ho mai provato a fare. E ancora mi chiedo: perché ho generato così tanto male?
Nella palestra messa su dai genitori sotto quel pub, Ricky a dodici anni aveva scoperto la boxe. Quando tornava nei pub della zona, si fermava ancora a giocare a freccette con i frequentatori di un tempo.
Il campione soffriva di depressione ed era stato ricoverato per problemi di alcolismo in un centro di riabilitazione.
Sono stato campione del mondo quattro volte, ma mi considero un fallito. Non doveva finire così. Sono sconvolto e devastato.
È una delle frasi chiave del documentario Hatton, messo in onda su Sky United Kingdom nel 2023. Il guerriero aveva scoperto quanto la vita fosse più difficile, addirittura più crudele di una battaglia sul ring.
Richard John Hatton, detto Ricky, era nato il 6 ottobre 1978 a Stockport (Gran Bretagna). Record: 45 vittorie (32 per ko), 3 sconfitte (3 ko). In attività dal 1997 al 2012. È stato campione del mondo dei superleggeri per l’IBF e la WBA; dei welter per la WBA.
(estratto da Storie maledette della boxe, Diarkos editore, 514 pagine)



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