
Nel mondo della boxe ci si indigna per un arbitraggio sbagliato, un risultato falsato dai giudici, per le borse misere di molti atleti, per la carenza di articoli sui giornali, per la scarsa popolarità del pugilato. Ma queste sono solo conseguenze.
Ci si dovrebbe invece indignare per la mancanza della correlazione tra regole e pratica, per la confusione nella gestione del prodotto, per l’improvvisazione che condanna al buio, per gli interessi personali che prevalgono su quelli generali.
La maggior parte degli appassionati si è abituata a questa sorta di degenerazione, che il potere ha deciso di spacciare come normalità.

Diciassette categorie di peso (per Wbc e Wba addirittura 18).
Per poi fare il match a un limite concordato (catchweight).
Il titolare unico della cintura è una rarità, ce ne sono almeno quattro per ogni categoria. Sessantotto o settanta pugili che si proclamano (senza averne il diritto) campioni del mondo.
World Boxing Council.
World Boxing Association.
World Boxing Organization.
International Boxing Federation.
Solo per citare le principali quattro sigle che si dividono la boxe.
Compilano regolamenti puntualmente disattesi. C’è scritto che il campione è obbligato a difendere il titolo con lo sfidante ufficiale almeno una volta l’anno. Ma fateci il piacere…
Campioni del mondo, a cui si aggiungono altri campioni.
Ad interim.
Silver.
Supercampione.
Regular.
Gold.
Le rivincite immediate non sono previste, a meno che non ci sia una montagna di soldi da dividere (vedi Tyson Fury vs Deontay Wilder…)

Sono quasi scomparsi i network in chiaro che trasmettono il pugilato.
Cinquanta milioni di spettatori per Ali vs Foreman (Kinshasa, 30 ottobre 1974, foto in alto).
Cento milioni per Ali vs Frazier III (Manila, 1° ottobre 1975).
Oggi c’è la pay per view.
Negli ultimi vent’anni, Mayweather escluso, un grande evento non ha mai superato i due milioni (8 giugno 2002, Lewis vs Tyson). Oggi, se si supera il milione, si balla per una settimana. Questa è l’audience della PPV. Uno spettacolo per pochi intimi, a costi alti.
Il moltiplicarsi di enti, categorie e titoli; la crescita della spesa per vedere un mondiale; la riduzione dell’audience. Tutto questo ha ridotto non solo la popolarità del pugilato, ma ne ha messo addirittura in pericolo, a lungo termine, la stessa esistenza. La boxe è già diventata, tranne qualche Paese che fa eccezione, uno sport di nicchia. HBO e Showtime sono state colonne per la promozione e per i contributi (diritti televisivi) del pugilato statunitense. Adesso hanno interrotto il rapporto.
Se ci sono almeno quattro campioni per categoria; se si può in ogni istante ignorare il regolamento; se le difese del titolo sono affidate a
interessi del momento; se la grande boxe non si vede più in tv se non a
prezzi alti; se un pugile può fare in carriera un percorso mondiale in sei categorie senza che nessuno si faccia almeno una domanda, perché mai questo sport dovrebbe essere immortale?

Il 19 luglio Manny Pacquiao torna sul ring per sfidare Mario Barrios, che difende il titolo WBC dei pesi welter.
Pacquiao non combatte dal 21 agosto 2021 e ha 46 anni.
Jake Paul è diventato un idolo dei tifosi. È un influencer che in carriera ha incontrato ex lottatori, giocatori di pallacanestro, alcuni suoi colleghi, anziani campioni di arti marziali. È salito una sola volta sul ring per affrontare un pugile in attività, e ha perso.
Mike Tyson ha fatto credere che a 58 anni potesse ancora essere Iron Mike, quello che metteva tutti ko.
Canelo ha recentemente incassato 100 milioni di dollari per fare una figura patetica.
La nicchia di riferimento si assottiglia. Non si guarda più avanti, ma solo indietro, molto indietro nel tempo.

Si combatte a pugni nudi, i soldi per i match arrivano da qualche mecenate ricco oltre misura. I colpi somigliano a una mannaia che si abbatte senza pietà sull’avversario.
Cronaca di match, in un’epoca attorno alla metà dell’Ottocento.
L’IBA (International Boxing Association) il 17 luglio a Istanbul annuncerà l’ingresso nella sua organizzazione del “pugilato a mani nude”.
Il cerchio si chiude.
La mia vecchiaia avrà inizio quando smetterò di indignarmi
(André Gide).
Non a caso viviamo in un mondo di vecchi, a prescindere da quanto dicano i documenti.

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