Auguri Kalambay. Quando salivi sul ring, il pugilato diventava nobile arte …

Sumbu Kalambay è nato a Lumumbashi (Repubblica Democratica del Congo) il 10 aprile 1956. Oggi festeggia 69 anni. Auguri, campione.

In Italia, ma anche in tante altre parti del mondo, gli stranieri sono spesso impiegati come collaudatori. Rivali buoni per arricchire i record di aspiranti campioni, per dare sostanza a carriere dall’incerto futuro. Sumbu Kalambay i match li vinceva, bene e spesso per ko.
Aveva avuto la fortuna di entrare nel giro di Rodolfo Sabbatini. Il grande promoter aveva subito capito il valore del ragazzo. Ma gli serviva tempo per imporlo. Così lo aveva portato in giro all’estero e quasi sempre gli aveva evitato scontri diretti con pugili italiani. Bravo Kalambay lo era davvero. In Africa lo chiamavano Ali, da noi è diventato il Professore.
Una volta ho scritto: “Quando vedi combattere Kalambay ti innamori della boxe. Quando Patrizio sale sul ring la boxe diventa arte”.
I suoi muscoli erano come fili di un violino con cui lui, grande artista, suonava magiche note musicali. Non c’era mai volgarità tecnica nel suo pugilato. Anche un ko era una forma di bellezza, oserei dire, sofisticata. Muscoli di seta che sprigionavano una forza che era acciaio puro.
È nato a Lubumbashi, quando quella nazione si chiamava ancora Congo Belga. È diventata Zaire e lui era sempre lì, costretto a cambiare nome per la prima volta. Gerard alla nascita, diventava Sumbu per l’imposizione rivoluzionaria di riappropriarsi delle radici africane.
Nel ’74 si trovava da quelle parti e non aveva perso l’occasione per seguire passo dopo passo la preparazione di Muhammad Ali a N’Sele, in una palestra a trenta chilometri da Kinshasa. Era stato allora che aveva capito: non sarebbe mai riuscito a sfuggire al fascino travolgente di questo sport. E Ali sarebbe diventato l’esempio a cui ispirarsi.
Taciturno, timido con chi non conosceva, Kalambay si rivelava affabile e spiritoso se riuscivi a entrare in confidenza. Fuori dal ring aveva lo sguardo dolce di chi si aspetta sempre il peggio. Eppure veniva da una famiglia medio borghese, papà contabile e mamma casalinga, non aveva mai sofferto la fame devastante di chi povero lo è davvero. Era stato il modo in cui l’Italia lo aveva accolto ad avergli probabilmente dato quel senso di insicurezza.
Per imporsi doveva essere dieci volte più bravo dei suoi colleghi. E lui l’aveva fatto, anche se lungo il cammino era incappato in sconfitte apparentemente inspiegabili.
Ci aveva offerto spettacoli indimenticabili.
Come la vittoria su Herol Graham a Londra, gestita dal promoter Roberto Sabbatini per la Total Sport. Niente tv, nessun giornalista al seguito. Era stato presentato come una vittima designata contro il “bomber” imbattuto e pronto per il mondiale.
Quella sfida l’aveva dominata.
A quel punto, solo a quel punto, era stato salutato come meritava, da campione assoluto. Poi c’è stata la conquista della corona contro Iran Barkley, detto “la lama”, a Livorno. Un rivale pericoloso domato chiaramente davanti a telecronisti d’eccezione: Marvin Hagler e Ray Boom Boom Mancini.
Dopo quel trionfo arrivava il successo a Montecarlo contro Doug De Witt, con 6.200.000 tifosi entusiasti davanti alla tv!
Poi Kalambay affrontava a Pesaro un altro momento chiave della carriera. Mike McCallum. C’erano cinquemila spettatori in sala e oltre quattro milioni davanti alla Tv quando Patrizio Sumbu si consacrava fenomeno assoluto e si inseriva tra i migliori pesi medi italiani di sempre.
Quando avevo visto all’opera il talento puro di Kalambay, mi ero entusiasmato come un ragazzino. E avevo goduto di una gioia maligna quando, rientrando di notte in albergo, avevo sentito le urla del mitico Lou Duva che insultava l’intero clan americano per la disfatta.
C’è stato altro nella carriera di Sumbu. La sconfitta lampo contro Michael Nunn a Las Vegas, per esempio. Un momento buio, da dimenticare in fretta.
Poi erano tornati l’europeo e un’altra sfida mondiale. Contro Chris Pyatt in Inghilterra. Nonostante gli anni e le mille battaglie combattute, ancora una volta il più bravo era stato lui. Ma alla fine a essere premiato era stato l’altro.
Oggi insegna boxe, anche se è quasi impossibile che trovi uno capace di esibirsi al suo livello. Ma ha buoni consigli da dare. Un’esperienza con lui sul ring non può che far bene a qualsiasi pugile abbia voglia di imparare un’arte affascinante, ma terribilmente complessa come il pugilato.

Patrizio Sumbu Kalambay è nato a Lumumbashi (Repubblica Democratica del Congo) il 10 aprile 1956. Nel 2021 è entrato nella Hall of Fame del Pugilato Italiano.
Altezza: 1.75
Categoria: pesi medi
Record (dilettante) 90-5-0
Record (professionisti) 57-6-1 (33 ko)


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