Rosi (tredici match mondiali vinti) e la creazione del personaggio negli anni Ottanta

Una vita fa.
Fine anni Ottanta. Usavamo il racconto, il contatto diretto, la testimonianza, l’intervista per creare il personaggio. Niente dichiarazioni ridicole, i social non avevano ancora invaso le nostre vite. Niente sceneggiate al peso, in conferenza stampa, davanti alla tv. Era lo storytelling, lo stile della narrazione a creare l’attesa. Se poi avevi la fortuna di incrociare un uomo delle pubbliche relazioni come Sabatino Durante, il gioco era fatto.
Gianfranco Rosi ci ha messo molto del suo. Ha vinto tredici match (undici consecutivi) con il titolo mondiale dei superwelter in palio. Ha sconfitto Perico Fernandez, Chris Pyatt, Lupe Aquino, Duane Thomas, Darrin Van Horn, Renè Jacquot, Gilbert Delè. In Italia i suoi combattimenti avevano una media attorno ai cinque milioni di spettatori per ogni diretta. 
L’ho raccontato così sul Corriere dello Sport-Stadio in occasione di una difesa mondiale.

Perugia, 24 ottobre 1989

Dodici riprese in palestra, nel caldo soffocante dei vecchi locali in via della Concordia. 
Gianfranco suda e soffre. Una musica assordante riempie ogni spazio. 
Zucchero è la prima colonna sonora con il suo “Oro, incenso e birra”.
Dura abbastanza per imparare a memoria ogni parola.
Poi qualcuno toglie la cassetta, un attimo di silenzio assordante e le note della Lambada arrivano a coprire ogni cosa trasmettendo un messaggio sensuale con ritmo sudamericano.
Il campione del mondo danza sul quadrato.
Ha scelto il Colle della Trinità per il ritiro che lo porterà alla difesa del titolo contro Troy Waters. Un eremo a settecento metri sul livello del mare, periferia di Perugia. Qualche mattina corre verso le pendici del Monte Subasio. Trascorre i pomeriggi, e qualche notte, a Montemalbe, dai frati Cappuccini. Una celletta per meditare, tanto verde, un frate come compagno di parole.
Sta preparando così il suo quinto mondiale. Musica sensuale, ritiro in un convento di frati. Gli estremi che non si toccano, ma che Gianfranco frequenta con lo stesso impegno.
Racconta di sentirsi immerso in una nuova dimensione, di avere superato la fase della mitizzazione dei grandi della boxe.
“Leonard, Duran, Hearns sono pugili. Come me”.
Divido il tavolo della sala ristorante con Rosi. Lui ha davanti una bistecca da otto etti, io lo guardo ammirato. Il campione mi tranquillizza.
“Nessun problema di peso. Anche nella dieta ho seguito la strada degli opposti estremismi. Quando torno dalla palestra e sono distrutto dalla fatica, mi sento stanco e penso brutte cose, mi faccio una grande mangiata di gelato e sono a posto”.
Mi sembra di avere davanti un uomo diverso da quello che conosco da anni. Lui prova a chiarirmi da cosa venga questa sensazione.
“Non credo di essere presuntuoso se dico di considerarmi diverso dagli altri. Da tempo ho fatto quello che chiamo “il giuramento al sacrificio”. Forse sono un po’ masochista, ma solo quando soffro mi sento realizzato. E poi, parliamo chiaro, se non avessi fatto così non sarei arrivato lontano. Devo crearmi una protezione mentale, qualcosa che mi isoli dal resto del mondo. Non devo mai dimenticare, neppure per un secondo, che sono un pugile. Quello che mi capita attorno non deve influenzarmi, altrimenti finisce l’incantesimo. Calma, serenità, consapevolezza dei miei mezzi, ecco da dove prendo la carica. Chi non l’ha mai provato non può capire che serenità e che forza possa dare la visita a un convento dei francescani”.
Sorrido.
“Cosa ho detto di divertente?” mi chiede Gianfranco.
Il motto dei frati è “non fare del male a chi ti fa del male”. Diciamolo francamente, per un pugile non è poi un gran bel proposito.
Ride.
“Non tutti i consigli vanno seguiti…”
La bistecca è sparita, stessa fine hanno fatto tre etti di verdura, un succo di frutta, il pane secco e il dolce. Un pasto che, improvvisamente, gli crea un senso di colpa. Bibi è in stanza, senza cibo. Il campione provvede subito, fa preparare un bel po’ di roba per il suo grande amico, lo yorkshire di famiglia.
È su di giri Rosi, si sente tranquillo, realizzato, sicuro. E allora va a cercare nelle grandi sfide qualcosa che riesca a regalargli nuove motivazioni.
“Mi porto dietro un doppio sogno, due rivincite che riempiono anche le mie notti. Quelle con Honeyghan e Curry. Stavolta gli farei ballare la samba. A tutti e due”:

Saint Vincent, 25 ottobre 1989

Cecyl mi ferma mentre sto salendo le scale dell’Hotel Billia che ospita i protagonisti del mondiale. Ha una maglietta gialla con la scritta dello sponsor bene in vista e un cappelletto di lana bianca calato fino a metà fronte. Vuole spiegarmi perché suo figlio diventerà il nuovo campione.
Cecyl Waters, o Ces come lo chiamano gli amici, è il papà di Troy. Alle spalle ha una drammatica vicenda culminata con il divorzio dalla moglie e la fuga da Londra con i figli.

Oggi i tre ragazzi sono pugili professionisti.
Dean, 27 anni, è stato campione australiano dei massimi.
Guy, 25, detiene il titolo del Commonwealth dei mediomassimi.
Troy, 24, è lo sfidante ufficiale ai superwelter IBF:
Ces fa l’allenatore dei cavalli da corsa. Ne ha due suoi, corrono e a volte vincono. Sono Lord of Kulnura, la città dove vive la famiglia, e Stately Gauntlet, che tradotto significa più o meno altezzoso sotto il fuoco di una folla ostile.
Il clan dei Waters vive in una fattoria con 25 acri di terreno attorno, l’acqua per bere e irrigare i campi viene direttamente dai pozzi della loro campagna. Kulunura, nella costa centrale del Nuovo Galles del Sud, tanto per capirci meglio: quella la cui capitale Sydney, è un paesino di quattrocento abitanti. Animali e bellezze naturali fanno da scenario a un posto che offre serenità.
“Noi gli animali li amiamo, per questo non li uccidiamo e non li mangiamo. Siamo vegetariani. Troy ha un’idea fissa, vorrebbe una scimmia. Finora non gliel’ho data vinta, ma dopo il mondiale dovrò acconttarlo”.
Ces è in vena di confidenze.
“Era Natale, i ragazzi erano ancora piccoli. Sotto l’albero gli ho fatto trovare tre paia di guantoni. Hanno cominciato a giocare. Due anni dopo erano già in palestra. Gli italiani non lo sanno, ma Troy vincerà. In Australia dicono che è il pù forte pugile che abbiano mai visto. Picchia forte con entrambe le mani, Da ragazzo è stato campione studentesco di lancio del peso. È per questo che il suo destro lascia il segno. Per anni si è allenato usando solo il sinistro. Per questo il suo gancio sinistro mette al tappeto gli avversari”.
Salgo nella stanza di Troy. Entro e penso che sia stata appena travolta da un ciclone. Non c’è una sola cosa al suo posto. Lui si è appena svegliato, risponde educatamente, ma con poca voglia alle mie domande. Poi riprende contatto con il mondo reale e comincia a giocare con un pallone da calcio. Palleggia, se lo passa da una mano all’altra, prova qualche colpo di testa.
“È l’unico hobby che ho. I miei fratelli sono dei bravi attaccanti, io sono un buon difensore. Altri svaghi non ne ho. Mi spiego meglio: le donne sono una maledizione prima di un match, ma dopo le amo tutte”.
A Kulunura c’è un Troy Waters fan club, i soci sono tutte ragazze.
Come ti definiresti?
“Un bravo ragazzo di campagna”.
Ha lo sguardo di un divo del cinema inglese degli anni Trenta. In famiglia si parla quasi sempre di boxe e l’unico vizio di cui lo incolpano è quello di dormire troppo. Ma da qualcuno del suo gruppo ho sentito dire che gli piace anche giocare. Chiedo.
“È vero, ogni tanto mi diverto con la roulette. Ma perdo sempre, meglio limitare i danni”.
In stanza con noi c’è Marthy Rhone, l’organizzatore che ha gestito in Australia la carriera di Tory. È cantante e attore. Ha recitato per diciotto ami al London Palladium in Il re ed io con Yul Brenner. Ha partecipato a una serie televisiva molto popolare nel suo Paese. Ha venduto un milione di copie con Denim Lace.
Troppe informazioni, troppa importanza. Deve pensarla così Ces, e allora riprende in mano la situazione.
“Rosi non sarà un problema. Mio figlio lo batterà sul ring e poi gli concederà la rivincita su un campo di calcio. Perderà anche lì”.
Qualche ora più tardi, Gianfranco si presenta in conferenza stampa indossando una tuta con su scritto ROSI 3. 
“Ho cominciato la mia terra carriera dopo la vittoria su Van Horn”.
Scambio di velenose battute, poi saluti, applausi. Tutti nuovo seri. I protagonisti escono dal salone, il clan dell’australiano saluta il nostro campione.
“Sei fi-ni-to! Sei fi-ni-to”.
Il match è alle porte.

Saint Vincent, 26 ottobre 1989

John Robinson è un signore di circa 250 chili che si porta dietro con apparente tranquillità. È il vice presidente dell’International Boxing Federation e oggi era qui a garantire la regolarità delle operazioni di peso. Senza scosse per entrambi i protagonisti, l’unica curiosità era la maglietta indossata da Troy Waters. Sul petto portava la scritta “Do the damage”, fai un disastro. Simpatico il ragazzo.
Ha nel record quindici match, una sola sconfitta e nove vittorie prima del limite. E un fighter, uno di quelli che avanzano a ogni costo.
“E allora, come fa ad avere la faccia così pulita?” chiede il mio amico e collega Teo Betti.
Semplice. Si muove bene sul tronco, ha riflessi attenti, guardia alta a riparare il viso. Così facendo però si espone ai colpi sotto dell’avversario. Ed è lì che Gianfranco dovrà lavorare. 
Rosi ha una straordinaria condizione atletica, la capacità di esprimersi su ritmi elevati per tutte e dodici le riprese, l’intelligenza tattica per adattarsi a qualsiasi rivale. 
Ora non resta che capire cosa si nasconde dentro l’anima dei due. 
A cosa attribuire la gelida aggressività verbale di Waters? 
Arriva alla fine della corsa, ha inseguito da tempo l’occasione mondiale. Ma non credo che riuscirà a sfruttarla. È il suo record a farmi nascere dei sospetti. Non ci sono grandi nomi tra i suoi rivali. E poi ha vinto solo ai punti contro Judas Clottey che è stato malmenato da La Rocca. Proprio quando credo di avere sciolto l’ultimo dubbio, mi accorgo che qualcosa non quadra. Il giovanotto è campione del Commonwealth, un titolo che da solo offre qualche garanzia. E allora? Mah…
E allora l’esuberanza dialettica di Rosi? Potrei collegarla allo stesso atteggiamento tenuto prima della disfatta contro Don Curry a Sanremo. 
Metto assieme i dati e dico che non vedo proprio come Gianfranco Rosi possa cedere il titolo.

Saint Vincent, 27 ottobre 2019

Una ripresa, l’ultima, con il fiato sospeso. Il gancio sinistro di Waters sembra possa rovinare il capolavoro di Rosi. Lo sfidante piazza il colpo sulla mascella del campione subito dopo l’inizio del dodicesimo round. Che sta succedendo? Troy faccia d’angelo si avventa su Gianfranco, cerca di chiudere il match. Ma l’umbro ha carattere, personalità, atteggiamento da duro. Non può regalare un titolo che ha largamente dimostrato di meritare.
Per undici riprese costringe l’australiano a inseguirlo sul ring, mentre lui boxando di rimessa lo tempesta di pugni. Mulina le braccia, schiva e piazza le sue serie. Colpi in velocità. Lo sfidante non riesce a evitarne neppure uno. Per nove riprese il campione va a tavoletta, è una Ferrari lanciata a pieno ritmo. Poi, comincia ad avere qualche problema.
Waters, dominato tatticamente, capisce che deve cambiare marcia se non vuole tornare a casa solo con una faccia piena di pugni. Rosi ha una pausa, nessuno si preoccupa. Poi, quel maledetto gancio. Tre minuti di sofferenza prima del trionfo.
Tutto era cominciato con una rissa nello spogliatoio dell’umbro. Per una discussione sul bendaggio da usare, tre uomini del clan di Waters pretendevano di imporre la loro teoria con le maniere forti. I sodali del campione reagivano e ne nascita un parapiglia. Solo l’intervento dei carabinieri riusciva a riportare la calma.
Sul ring, mentre tre belle ragazze di nulla vestite mostravano al pubblico, oltre alle bandiere, anche sette e glutei, i due clan entravano nuovamente in rotta di collisione. Solo alla fine di un percorso lungo e accidentato il match poteva cominciare.
Troy Waters è un bravo figliolo, ha fatto una preziosa esperienza. Magari la prossima volta rinuncerà al voto di castità, non è valsa la pena.

Saint Vincent, 28 ottobre 1989

Gianfranco ha il volto gonfio. Un taglio all’altezza dello zigomo e un altro all’arcata sopracciliare destra. Quando ha capito di esseri ferito si è toccato la parte con i guantoni. Aveva paura, non sapeva quanto fosse grave. Così gli ultimi sei minuti sono diventati interminabili.
“Colpi duri non ne ho presi. Uno solo, un destro terribile nel decimo round. L’ultima ripresa è stata tosta, ma solo perché ero un po’ stanco”:
Chiusa la conferenza stampa, Rosi si lascia andare.
Le privazioni sessuali hanno demolito Waters. La sua teoria sull’astinenza è stata demolita. A volte io ho fatto l’amore anche il giorno del match. E stavolta non ho mi sono certo sottoposto a privazioni totali. Si diventa campioni con la volontà, il sacrificio, la sofferenza”:
Troy è triste. I fratelli non ridono più, il papà Ces è stranamente silenzioso. 
“Rosi è il numero 1, merita di essere il campione. Io ho sbagliato tutto”.
Prima di scivolare nella notte, Gianfranco lancia le ultime frecciate velenose.
La Federazione italiana non riconosce il titolo IBF e lui non ci sta.
“Se non si riconosce un campione come me, cosa devono riconoscere: i broccoli? Vivo una situazione strana. Tutto quello che fai non viene considerato. Da quanti anni un pugile italiano non vinceva il mondiale negli Stati Uniti e lo difendeva contro lo sfidante ufficiale in Italia? Mi faccio spaccare la faccia per garantirmi un futuro, per vivere meglio. Tutto vero, ma anche altri godono delle mie imprese”.
Un’altra vittoria è appena stata messa in archivio, ma sembra che questo mondiale non possa proprio vivere senza scatenare polemiche…

Troy Waters se ne è andato via per sempre una mattina di maggio del 2018, era venerdì 18. Aveva 53 anni appena compiuti. Lasciava la moglie Michelle e due figli: Shontal di nove anni e Nate di tredici.


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