
Big George Foreman se ne è andato via per sempre.
Aveva 76 anni.
Ha vinto l’oro olimpico a Città del Messico 1968. Ha conquistato per due volte il mondiale dei massimi. Quando ha sconfitto Michael Moorer (foto sotto), approprindosi per la seconda volta della cintura, aveva 45 anni.
Ha messo knock out due volte Joe Frazier (foto sopra), ha superato Ron Lyle al termine di un’epica sfida, ha battuto anche Ken Norton. Ha vinto 76 match, 68 per ko, perdendone cinque.

Eppure è rimasto nella testa di tutti noi per la notte in cui ha deluso sé stesso e chi credeva in lui.
Kinshasa, Zaire.
30 ottobre 1974.
Don King ha definito The Rumble in the Jungle (più o meno, la rissa nella giungla) il campionato del mondo dei pesi massimi tra il detentore George Foreman e lo sfidante Muhammad Ali.
Un evento sportivo con un forte impatto sociale.
Una storia che Big George non dimenticherà mai.
Sul salvaschermo del suo computer (lo ha confessato al Daily Telegraph) c’è una foto in bianco e nero. Uno scatto che ferma il tempo. È l’attimo in cui Ali lo mette knock out. No, non credo proprio che potrà mai dimenticare quella notte.
Qualche hanno fa ho intervistato George Foreman a Milano. Ecco, nelle parole del protagonista, la storia di un grande del ring.
Quale è stato il momento più bello della tua vita?
“Quando sono nati i miei dieci figli. Ogni volta ho provato un’emozione fortissima”.
Hai mai avuto dei momenti davvero tristi?
“Quando li accompagnavo all’asilo e loro si aggrappavano alle mie gambe, pregandomi di non lasciarli soli. Mi sembrava di tradirli”.
In quel pomeriggio milanese ho parlato a lungo con il campione. Anche e soprattutto di Muhammad Ali e dell’incredibile notte di Kinshasa. Una precisazione. Nelle domande uso il tu, perché è il corrispondente di you in inglese, si usa nei colloqui.
Perché hai perso?
“Ricordi come Ali ha definito quella vittoria?”
Presa al laccio di un imbecille.
“Io ero l’imbecille”.
Cosa è accaduto quella notte?
“Ho sbagliato tutto. Pensavo che lui fosse un vecchio, ero sicuro che l’avrei messo knock out in due riprese. E invece mi sono trovato davanti il pugile più coraggioso, l’uomo più forte che abbia mai incontrato. L’ho picchiato ripresa dopo ripresa. All’inizio del settimo round mi è venuto vicino e mi ha sussurrato in un orecchio: È tutto quello che sai fare, George? Poi mi ha messo al tappeto. L’ho odiato per tanti anni, oggi lo amo”.
Hai parlato con Muhammad Ali subito dopo il match?
“Sì, gli ho chiesto la rivincita. Quella rivincita che, per lungo tempo, è stata un incubo nella mia testa”.
Perché non si è mai fatta?
“Attorno alla boxe ci sono troppi interessi, sia visibili che nascosti. Otto mesi fa ho scritto ad Ali, gli ho detto: Ehi, facciamo la rivincita. Così stavolta ti batto. Lui mi ha risposto: Sei sempre più matto, quella rivincita non l’avrai mai. Gli ho detto che ero contento fosse finita così.”
La notte di Kinshasa rappresenta il peggiore ricordo della carriera?
“Sì, è un incubo che non cancellerò mai. Ero un giovane arrogante e presuntuoso. Sono stato punito”.
Che effetto ti fa vedere Ali così malato?
“Lui è un eroe. Quando un soldato torna dalla guerra, non noti se ha perso una gamba, un braccio o se si è ferito. Tu vedi solo l’eroe. Quando era giovane, Ali diceva di sé stesso: Sono davvero carino! Oggi è bellissimo. Sarà sempre così, perché Ali è un eroe”.
È stato il più grande di sempre?
“È stato l’uomo più forte che ho incontrato. Ma il migliore peso massimo di sempre resta Joe Louis.”
Quale è la tua lista dei migliori?
“Tre nomi su tutti. Nell’ordine: Joe Louis, Rocky Marciano e Muhammad Ali. Rappresentano le basi dell’intera storia della boxe. Poi vengono Jack Johnson, Jack Dempsey, John L. Sullivan, Joe Frazier e Floyd Patterson”.
E Mike Tyson?
“Dai 19 ai 24 anni è stato fenomenale, avrebbe meritato un posto subito dopo i grandi. Per cinque stagioni è rimasto ai livelli più elevati. Poi, si è perso”
E tu?
“No, io non posso stare lassù. Ero solo uno che picchiava forte”.
Aveva una potenza devastante nei pugni, era capace di colpire il sacco con una forza tale da rischiare di distruggerlo. Ha attraversato il mondo della boxe da assoluto protagonista.

Ha vissuto due volte. Prima e dopo Ali.
Era arrogante, presuntuoso, si portava dietro la rabbia del ghetto in cui era cresciuto.
Poi ha assaporato il dolce della vita. Ed è diventato simpatico, spiritoso.
Solo sul ring è stato solo e sempre sé stesso. Uno da cui era meglio stare lontani.
Se ne è andato via un grande, e noi che amiamo questo sport così disperato e allo stesso affascinante, siamo sempre più soli.

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