
Gestacci, botte, cappi e mortadella: tutte le volte che il Parlamento è diventato un ring.
Ancora una volta un giornale usa una parola del gergo pugilistico nel modo sbagliato, attribuendole un significato che non le appartiene. Colpa del sentito dire. Perché il ring è il contrario di quello che il titolista voleva rappresentare. Cioè il caos, il lato sporco della vita, il mancato rispetto delle regole, la violenza fine a sé stessa.
Chi ha scritto l’articolo, il ring non lo nomina mai, racconta però la ragione per cui è nata la storia. È figlia della volgarità.
Ho il ricordo del Parlamento simile a un atrio di stazione, con gente stravaccata dappertutto, scamiciata, la cinta dei pantaloni in mano, senza scarpe, a sputare per terra, a disseminare cicche, cartacce e resti di cibarie, a darsi schiaffi, ingiuriare, a bestemmiare…
Se pensate che tutto questo possa essere accostato a un ring, siete sulla strada sbagliata.
Il terribile silenzio ricreato sul ring, è il silenzio della natura prima dell’uomo, prima del linguaggio, quando il solo essere fisico era Dio… (Joyce Carol Oates, Sulla boxe, edizioni e/o)

È già accaduto, accadrà di nuovo.
Accade soprattutto quando un reato finisce su un quotidiano, una settimanale.
Gli uomini (i pugili) sbagliano e quando lo fanno un giornalista ha il dovere di scrivere che hanno sbagliato, raccontando il crimine commesso e chi lo ha commesso. Nascondere la realtà vorrebbe dire non essere un serio professionista.
Detto questo, mi piacerebbe che gli stessi giornalisti usassero sempre lo stesso criterio.
Non mi sembra di avere letto titoli del tipo…
IDRAULICO RAPINA UNA BANCA
ARCHITETTO UCCIDE LA MOGLIE
Sento già salire l’obiezione. Il pugile ha maggiore visibilità mediatica di un architetto o di un idraulico. Ma allora perché, quando il pugile è nel suo contesto naturale, cioè su un ring, quasi nessun giornale italiano se ne occupa? Se non genera interesse quando esercita la professione, se ne deduce che non è popolare, quindi non merita spazio sul giornale.
Ma a voi non sta a cuore la verità, quanto l’associazione boxe uguale violenza, rozzezza, volgarità.
Tesi che trova riscontro nel fatto che nelle titolazioni scompare il nome del protagonista e viene usata la parola pugile. Il cognome del soggetto non direbbe nulla.
Altro stralcio dell’articolo.
Pronti, via. 20 ottobre 1994, decreto salva Rai. Mauro Paissan, fronte progressista, rivolto ad An: «Siete tangentari e tangentisti!». Nicola Pasetto, Benito Paolone e Vincenzo Zaccheo all’assalto. Giù botte. Pinuccio Tatarella li guarda sconcertato. Grida contro Paissan: «Bastardo, frocio». Repliche: «Fascisti, topi!». Una perla di Francesco Storace: «Mi ha graffiato con le sue unghie laccate di rosso! Io non l’ho toccato, vi sfido a trovare le mie impronte digitali sul suo culo!». Basta così, per carità di patria.
Accade che qualche volta attorno al ring si scateni l’inferno, accade molte meno volte di quante il titolista pensi. Accade anche che sul ring ci sia il caos, evento così raro da non generare numeri utili a una statistica sul caso. E allora perché associare la parola ring al contesto trattato? Non può rappresentare o riassumere (come luogo del peccato) le nefandezze del Parlamento al meglio della sua volgarità.
Le parole sono importanti.
(Dialogo tra l’’intervistatrice, Mariella Valentini, e Michele Apicella, Nanni Moretti, nel film Palombella rossa)
Io non lo so, però senz’altro lei ha un matrimonio alle spalle a pezzi.
Che dice?
Forse ho toccato un argomento che non…
No… no… è l’espressione. Non è l’argomento, non è l’argomento, non è l’argomento…è l’espressione. Matrimonio a pezzi. Ma come parla…
Preferisce rapporto in crisi? Ma è così kitch…
Kitch! Dove le andate a prendere queste espressioni, dove le andate a prendere…
Io non sono alle prime armi!
Alle prime armi… ma come parla?
Anche se il mio ambiente è molto cheap…
Il suo ambiente è molto…?
È molto cheap.
(schiaffeggiandola) Ma come parla?
Senta, ma lei è fuori di testa!
(altro schiaffo) E due. Come parla! Come parla! Le parole sono importanti. Come parla!

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