Tennis e libri. Claudio Pistolesi, il coach con il sorriso vincente

È stato uno show da applausi.
Il Tennis Club Parioli per una sera si è trasformato in teatro, sul palco uno scatenato Claudio Pistolesi. Presentava il suo primo libro, C’ERA UNA VOLTA IL (mio) TENNIS. Per curiosità, ma anche e soprattutto perché è un piacere sentirlo parlare delle sue mille avventure in giro per il mondo, mi sono presentato addirittura in anticipo, quando i cento e più ospiti dovevano ancora arrivare. Abbiamo ricordato i vecchi tempi (complice Lauretta Betti, la figlia del mio amico per sempre Teo), abbiamo parlato del tennis romantico e divertente, di qualche altro amico comune. 
Poi, è cominciato lo spettacolo.
Claudio ha talento. 
Sul campo lo ha dimostrato nel ruolo di giocatore prima, di allenatore dopo. Campione del mondo junior, vincitore a 19 anni del Torneo ATP di Bari, numero 71 della classifica mondiale, numero 1 d’Italia nel 1988. Coach di Monica Seles, Davide Sanguinetti, Simone Bolelli, Robin Soldberg, Daniela Hantuchova, Takao Suzuki.
Claudio è simpatico, spiritoso, crea un contatto immediato con l’interlocutore. Ma non si accontenta, perché anche in questo campo ha del talento. 
Possiede i tempi comici del cabarettista di classe. Ieri per più di un’ora ci ha raccontato la sua vita attraverso una serie di fantastici aneddoti, molti dei quali racchiusi nel libro. L’ha fatto con una parlata romana doc, con il sorriso da presa in giro stampato sulla faccia. Ma anche con uno sguardo commosso, con l’affetto dimostrato per gli amici citati uno ad uno, regalando a ciascuno una pennellata di colore, riservando ad altri le sue imperdibili imitazioni.
In sala c’erano anche Vincenzo Santopadre, Vittorio Selmi, Alberto Castellani, Claudio Panatta, Antonello Valentini. C’era il pienone, sold out, tutto esaurito. 
Claudio ha parlato con ritmo serrato. E tutti noi lì a ridere, commuoverci, provare un senso di nostalgia nel ricordo di un’epoca spensierata in cui la solitudine era uno stato d’animo sconosciuto.
Ha raccontato di come e perché Soderling (all’epoca numero 5 del mondo) lo abbia scelto come coach.
“Per molto tempo mi sono chiesto perché mai avesse scelto me. Solo al quarto mese della nostra esperienza ho trovato il coraggio di chiederglielo…La risposta dello svedese è nel libro.
Ha spiegato come e perché sia riuscito a battere Mats Wilander (nella stagione numero 1 del mondo) negli ottavi di finale del torneo di Montecarlo nell’88. Merito del flow. Se sapete cosa sia, siete un passo avanti. Altrimenti vi tocca comprare il libro.
E, soprattutto, ha narrato l’aneddoto di tutti gli aneddoti.
Tokyo, campionati nazionali giapponesi. Claudio allena Takao Suzuki.
Vigilia del torneo.
Pistolesi parla con il suo giocatore.
Voi in Giappone siete un grande popolo, unico al mondo. Ma siete un’isola e tendete ad isolarvi come popolo. La vostra lingua si parla solo in Giappone, il vostro cibo, eccezionale, è l’unico che siete disposti a mangiare, la vostra medicina è stata studiata e applicata solo per voi. Questo non va bene per chi ha deciso di fare il tennista professionista, la cui vita è basata sui viaggi e anche sulla capacità di adattamento”.
Takao annuisce e in un inglese stentato risponde.
Voglio essere un giocatore internazionale”.
Arriva in finale, ci sono diecimila spettatori sugli spalti.
Vince. 
Ora dovrà fare un discorso davanti a tutto quel pubblico, ma soprattutto dovrà parlare davanti all’Imperatore.
Restate concentrati sulla sacralità del momento. Regola 1. Non dare mai le spalle all’Imperatore.
Regola 2. Non sedersi se l’Imperatore non si è seduto.
Regola 3. Non alzarsi se l’Imperatore non si è alzato.
Pistolesi racconta: “Takao prende il microfono e urla in italiano Grazie di esistere, frase imparata dopo avere ascoltato cento volte la canzone di Eros Ramazzotti. Per fare questo, volta le spalle all’Imperatore. Gelo e mormorii di disapprovazione allo stadio. Io piango e comincio a sudare”.
Suzuki continua a parlare, stavolta guardando negli occhi il Tenno Akihito e l’imperatrice Michiko al suo fianco.
Noi siamo un’isola, parliamo solo giapponese, mangiamo solo giapponese, le nostre abitudini sono conosciute solo da noi… Dobbiamo cambiare mentalità e grazie al tennis spero di diventare un esempio per tutti i giovani giapponesi, viaggiare è l’università della vita…”.
Panico.
Dieci interminabili secondi di silenzio assoluto.
Gelo nell’intero stadio.
Claudio, temendo il peggio, per una volta resta in silenzio anche lui. Muove solo le labbra, senza fare uscire alcun suono. Sta pregando. Il sudore è aumentato in modo preoccupante.
L’Imperatore si alza in piedi.
Tutti scattano in piedi.
Comincia ad applaudire.
Tutti applaudono.
Claudio piange, di felicità.
Questo e altro Claudio Pistolesi ha raccontato nel suo esordio da scrittore.
È un uomo dalle mille sfaccettature. Divertente, capace di emozionarsi, rispettoso dal sacro vincolo dell’amicizia, in grado di dialogare con chiunque grazie alla conoscenza di sei lingue, consapevole di ogni segreto che il tennis abbia nella sua natura, coach che ama il suo lavoro. 
È stato un piacere, Claudio.
Grazie di esistere, Takao ha ragione.
Chiudo con le parole scritte da Adriano Panatta nella prefazione.
Ma come ha fatto il nostro tennis a privarsi di un tecnico della qualità di Claudio?”.
Che me lo chieda anch’io non ha alcun peso, ma lo scrivo lo stesso. Come ha fatto?

Claudio Pistolesi. C’ERA UNA VOLTA IL (mio) TENNIS, prefazione Adriano Panatta. Foto di Angelo Tonelli e Ray Giubilo. Edizioni Gremese. Pagine 158, 18 euro.

P.S. Claudio Pistolesi vive a Jacksonville (Florida, USA) dove dirige il programma dello Junior Tennis Champions Center. È amministratore delegato, fondatore e proprietario della Claudio Pistolesi Enterprise.



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