Nino ricorda. La famiglia, Isola, l’oro olimpico, la durezza del pugilato

di Giovanni Calabresi

Qualche tempo fa, ho fatto una lunga chiacchierata con Nino Benvenuti. Eravamo seduti a un tavolino del Caffè Novecento, che lui amava frequentare quando era a Roma. Abbiamo parlato di boxe e di vita davanti a un invitante centrifugato di frutta e verdura servito da Antonella Mazzoni, la dinamica barman.

Nino, mi hai detto di avere ereditato il meglio del DNA dei componenti della tua famiglia, mi hai detto che è stato questo a fare di te un grande campione. Puoi raccontarci cosa e da chi l’hai ereditato? 
“In primis da mio papà Fernando. Era un uomo bellissimo, sembrava sempre molto più giovane dell’età che aveva. Aveva un fisico straordinario, da peso medio. Non bisticciava mai con nessuno, anche se aveva un carattere tenace. Possedeva una forza incredibile che usava sempre a fin di bene. Tutti lo rispettavano, aveva un carattere che non incuteva paura, ma rispetto. Ancora oggi ci sono molte persone che mi parlano di lui, mi dicono cose che magari io ho dimenticato. Sono felice di essere stato suo figlio, ricordo papà come la persona più bella del mondo. E poi c’era mamma Dora. Una donna bellissima e istruita. Aveva fatto il Liceo Classico, a Isola, nella scuola che avrei frequentato anche io. Era una donna intelligente, non dico di cultura perché non c’è tanto tanto tempo per curare la cultura quando ti sei sposata a vent’anni e hai cinque figli. Lei ci ha insegnato a esprimerci bene e a essere corretti e leali verso gli altri. In famiglia siamo cresciuti in grande armonia, in un contesto familiare fatto di lavoro, sacrificio, correttezza e rispetto, un grande esempio. Mamma e papà (foto sotto, nel giorno delle nozze) erano innamoratissimi, non hanno mai avuto una discussione, né in casa, né fuori”.       

                                                    La tua professione ti ha portato a conoscere tanti luoghi del mondo, quale è il posto che conservi più caramente nel tuo cuore? 

“Sono nato a Isola d’Istria, un piccolo paese di seimila abitantie dove c’è tutto ciò che si può desiderare al mondo. Una terra generosa. Papà era un viaggiatore, a Trieste praticava il commercio del pesce. Amava la natura, quando andava fuori da Istria trovava della frutta, dei prodotti rari, preziosi, pregiati. Li portava a casa, faceva degli innesti, coltivava la terra per avere il meglio del meglio. Come il “Refosco” il vino dei Benvenuti, il vino dei “sisòtti”. Noi siamo i “sisòtti”, è il nostro soprannome. Significa che un mio avo in una discussione diceva a un altro “mi si che sò e ti?” che suona un po’ come “io sì che so e tu?’”. È così che è venuto fuori “sisòtti”, perché di Benvenuti ce ne erano tanti altri in zona. Avevamo tutto, le barche da pesca, i campi curatissimi, quattro campagne: Saredo, Canola in su, Canola in zò e Vilisan.  Quattro località vicino al paese, erano di non so quanti ettari. Isola d’Istria era bagnata dal mare, ma dietro aveva una piccola pianura che saliva verso una collina su cui crescevano le cose più belle del mondo. A Istria avevamo la frutta invidiata da tutti. Avevamo i meloni, le angurie, le arance anche se non è terra di arance, e i limoni. I prodotti dei Benvenuti erano una garanzia. Avevamo le barche per la pesca. Il pesce era straordinario perché il mare aveva un fondo adatto alla pesca di branzini, orate, sardelle, sardoni, sgombri. Cinque qualità di pesce che si trovano anche da altre parti, ma il nostro mare aveva un fondale particolare perché da noi c’era il rispetto per l’ambienteAbitavo in una casa di quattro piani più la soffitta sopra. Sotto c’era una cantina enorme che conteneva tutte le botti per il nostro vino. Facevamo dai 50 agli 80 ettolitri di vino ogni anno e facevamo tutto in famiglia. Eravamo in undici, cinque figli, papà, mamma e c’erano anche gli zii. È una delle ragioni per cui sono diventato Campione del Mondo, mi sono nutrito di tutte le cose migliori”.                                                                                                                                                                              Nino, parliamo di pugilato. Come vedi un fantasy match tra due grandi pesi medi, Sugar Ray Robinson contro Benvenuti? 
“Per Robinson ho sempre avuto una grande stima, l’ho sempre considerato un grandissimo atleta e un grande uomo. L’ho conosciuto, era una persona intelligente, se non fosse stato intelligente non sarebbe stato un grande campione. Lo ritengo il più bel peso medio che abbia mai visto sul ring, non potrei nemmeno pensare di potermi opporre alla sua bravura, alla sua tecnica, alla sua intelligenza, alle sue capacità. Era il Campione con la C maiuscola”. 
In carriera hai vinto titolo Italiano, Europeo e Oro olimpico da dilettante; titolo Italiano, Europeo e Mondiale da professionista. Quale conquista senti più cara e perché? 
“Da ragazzo ero campione d’Italia, poi campione d’ Europa e mi dicevo: ah se potessi vincere l’oro olimpico. Lo desideravo fortemente, ma ritenevo che quel titolo fosse solo per pochi eletti e non ritenevo di essere un eletto a quel livello. Invece ci sono arrivato. E oggi per me è la conquista più importante. Perché è un titolo che non puoi mai perdere, rimani campione per sempre”. 

(sotto, Nino con l’autore dell’articolo Giovanni Calabresi, foto Antonella Mazzoni)


Qualche anno fa Sandro Mazzinghi ti ha telefonato e ha stabilito con te un rapporto di cordialità. 

“Si mi ha telefonato, è stato gentilissimo, mi ha fatto più piacere che se mi avesse telefonato qualche grande amico, perché non posso dire di essere stato suo amico. Era uno che si teneva sempre un centimetro indietro, ma io non avevo smania di azzerare quel centimetro perché mi stava bene quello che avevo di lui dentro di me. Era molto diverso da me. Diverso per tante cose, è stato un grande campione per il popolo, per quel popolo a cui lui assomigliava più di tanti altri”.                                                                                                   
Hai fatto 120 match da dilettante, spesso contro i migliori. Hai avuto una carriera durissima anche da dilettante. A fine carriera, nel match di Roma, hai tenuto testa per 12 round al miglior Monzon. Dopo quello che lui ha è riuscito a fare nel proseguo della carriera, hai mai pensato che quella prova possa avere accresciuto il tuo valore di pugile?                                                                                                                             
“Certamente. Sono gli altri che ti rendono grande, è il valore dell’avversario che ti rende forte. Lui era veramente imbattibile. Io studiavo, studiavo, studiavo per potergli dare un pugno in più di quelli che avevo preso. E a volte ci riuscivo. È stato un grandissimo, sono felice di averlo incontrato, di aver fatto quello che ho fatto. Guarda, per me non conta la vittoria o la sconfitta, conta il confronto con un pugile che aveva delle qualità eccezionali. Era grande tra i grandi”.     
                                                                       


Ti sei mostrato al mondo nel 1957 con la vittoria a Praga, nei superwelter, contro Tadeusz Walasek, un polacco ostico e difficile che vinse anche l’argento a Roma.
 
“Walasek aveva una boxe molto simile alla mia, era un attendista. A un certo punto del match insisteva su un invito, una finta che sembrava assurdo non accettare. Abbassava la guardia come per distrazione. Tutti quelli che aveva affrontato erano caduti nel tranello, perché lui mandava a vuoto il tuo attacco e replicava con colpi d’incontro risolutori, un gancio sinistro e un montante destro che arrivavano precisi alla punta del mento. Anche io, nonostante l’avessi studiato, sono caduto nella trappola e ho affondato nella sua guardia sguarnita il mio diretto destro. Ho visto un lampo nei suoi occhi. Mi sono detto: attenzione, pericolo!  Ho fatto appena in tempo a buttarmi sulla destra, evitando così la sua micidiale stoccata. Ho vinto ai punti e questo mi è valso il primo dei miei Trofei Internazionali contro i pugili più forti al mondo (sopra una fase del match, sotto Nino mostra al papà e al fratello Eliano la cintura).  Sul ring, stavo attento a tutto quello che poteva accadere, cercavo di evitare le trappole. Ero bravo, ce la mettevo tutta per non sbagliare. Nel pugilato, se ti distrai minimamente prendi dei pugni sulla faccia, fanno male, e perdi l’incontro. Per fare la boxe devi nascere con quelle doti, quelle qualità che ti permettono di individuare le situazioni pericolose in modo che tu possa prevederle, questo è il punto. Sono questi i particolari che contraddistinguono il campione. Il pugilato è uno sport difficile, devi avere fisico e cervello per andare avanti”.          
                             

                                                                                                            
Ultima domanda.  Un raffronto tra i campioni di oggi: Mayweather, Pacquiao, Lomachenko, e i tuoi campioni. 
“Guarda tutti questi che stai facendo sono nomi di campioni che non ho seguito molto, perché non ho mai trovato in loro qualcosa di straordinario. Sono molto bravi, hanno fatto cose egregie, sono di grande valore tecnico, hanno battuto tutti quelli che gli hanno messo davanti. Ma di una cosa sono sicuro. Sugar Ray Robinson li avrebbe sconfitti tutti, due alla volta. Perché aveva quella intelligenza pugilistica che altri non avevano o non hanno e, probabilmente mai avranno”.                                                                                      


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Una replica a “Nino ricorda. La famiglia, Isola, l’oro olimpico, la durezza del pugilato”

  1. Avatar Antonio
    Antonio

    Benvenuti Lei al massimo della sua forza fisica Avrebbe battuto Monzon

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