Che notte a Las Vegas! Lacrime, pugni, paura e un nuovo re

Trevor Berbick intasca 140 milioni di lire in meno dello sfidante. Ma a lui va bene così, tanti soldi tutti assieme non li ha mai visti. 
Mike Tyson prova a crearsi un futuro picchiando chiunque incroci la sua strada. Se nasci a Brownsville, nella parte peggiore di Brooklyn, sai che di sorrisi ne farai pochi nella vita. Le sue giornate sono tutte uguali. Cerca di evitare pistole e coltelli. Fa qualche furto, tre o quattro rapine, tanti scippi, finisce in prigione. Poi arriva Cus D’Amato e gli insegna a vivere. 
Nel 1982 muore Lorna, la mamma.
Nel 1985 muore Cus D’Amato, il mentore.
Rimane solo.
Sa di essere un predestinato, ma conosce i suoi confini.
“Non sarò mai come Dempsey o Ali. Non ho le capacità del primo, non ho il carisma dell’altro. Diventerò famoso nel mondo, lo so. Ma so anche che non sconvolgerò gli uomini di questo pianeta”.
Bill Cayton mi aiuta a capire.
“Fa dieci round di guanti al giorno. Abbiamo dovuto cambiare tre dei sei sparring che aveva a disposizione. Si prepara con guantoni che non usano in tanti. Ha voluto tutta l’imbottitura sulla parte anteriore, così da trasformarli in cuscini. Questo lo aiuta a non farsi male alle mani, ma soprattutto aiuta noi. Ha meno probabilità di distruggere chi sale sul ring con lui”.
Ultima conferenza stampa. 
Tyson. 
“Berbick può fare tutte le previsioni che vuole. Io so solo che quando riuscirò a colpirlo, andrà giù. Potrebbe finire al tappeto per un montante, un gancio, un diretto. Conosco ogni colpo scritto nel libro della boxe”.
Per Trevor i giornalisti hanno una sola domanda.
“Hai paura di Tyson?”
“Sono qui per metterlo ko. Lo farò alla settima ripresa”.
Berbick dorme poco, ha paura di perdere tutto quello che ha guadagnato dopo anni di lotta. Anche Mike Tyson fatica a prendere sonno. È eccitato, ha voglia di fare sesso. Fa un giro di telefonate, parla con tutte le ragazze che riesce a svegliare. Poi, stufo, si alza dal letto e comincia una seduta di vuoto. Colpi tirati all’ombra contro un avversario che non c’è.

La notte del mondiale, sul ring dell’Hilton Hotel di Las Vegas, finisce in fretta.
La moglie di Berbick piange. Lacrime le rigano il volto mentre si alza in piedi, sale sulla sedia e urla all’arbitro di farla finita.
Il pubblico, crudele, le intima di sedersi. Hanno pagato e vogliono vedere il massacro sino all’ultimo colpo. 
Tyson è una belva scatenata. Aggredisce subito Berbick, lo colpisce senza pietà. Lo tormenta con i ganci. Suona il gong che chiude la ripresa. Iron Mike si ferma in mezzo al ring e guarda negli occhi il rivale che non abbassa lo sguardo, risponde alla provocazione. Il linguaggio del corpo è chiaro. Trevor Berbick proverà a vincere e finirà all’inferno.
Secondo round. Tre ganci destri e un sinistro scaraventano il campione al tappeto dopo appena pochi secondi. Si rialza, resiste un altro paio di minuti. Mike finta un montante, spara un destro al corpo, manca un altro montante. Poi, non sbaglia più. Un gancio sinistro appena sopra l’orecchio destro di Berbick provoca un ko a effetto ritardato. Il più angosciante knock out che la boxe possa offrire. Trevor resta in piedi un istante, poi, privato del senso dell’equilibrio, piomba al tappeto.  Il resto della scena lo vedo come se le immagini fossero al rallentatore.
Berbick si alza, ma le gambe si piegano e lui crolla all’indietro. Prova ancora a tirarsi su, ma cade in avanti. Barcollante e malfermo si appoggia alle corde. Finalmente Mills Lane decreta il kot.
Mike Tyson (20 anni, 5 mesi e 22 giorni) è appena diventato il più giovane campione del mondo dei pesi massimi. Nessuna esultanza. L’unico momento in cui mostra un minimo di emozione è quando saluta con un ghigno agghiacciante Kevin Rooney. Scambia due parole con Josè Torres, dà un abbraccio e un bacio sulle labbra di Jim Jacobs.
L’unica persona con cui avrebbe una gran voglia di festeggiare non c’è.
“Ce l’abbiamo fatta! Io e Cus ce l’abbiamo fatta!” urla. 
Berbick è al suo angolo. Dundee lo consola. Il dottore lo visita. Domattina penserà di essere stato torturato. Poi si ricorderà di Tyson e la tristezza diventerà l’unica compagna per molto giorni a venire.
Mike scende dal ring, incrocia un vecchio amico, si lascia andare a un gesto volgare. Si prende i genitali tra le mani dandosi una bella ravanata.
“Gente come Berbick può solo farmi ridere”.
Poi entra nella roulotte che lo ospita. Si chiude la porta alle spalle e lancia un lungo urlo selvaggio. È contento, ma gli manca una cosa che non potrà più avere.
Cus D’Amato è morto.
Trevor Berbick dice poche parole.
“Tyson mi ha fatto capire che chi si sente il più forte e non teme nessuno, sbaglia. Prima o poi, arriva sempre un Tyson che ti batte”.
È il 22 novembre 1986, domani l’America si sveglierà con un nuovo campione dei pesi massimi.


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