
Milano, 9 marzo 1996.
Giovanni Parisi è un campione, porta la boxe italiana in prima pagina. Combatte tante guerre, molte le vince. Con i suoi pugni soprattutto, ma sempre assieme al suo gruppo. Salvatore Cherchi e Andrea Locatelli su tutti.
Batte Altamirano, Pendleton, Rivera, Fuentes. Soprattutto Fuentes.
Dopo la sconfitta con Julio Cesar Chavez a Las Vegas, cambiano molte cose nella sua squadra. Damiano Lauretta sostituisce Giovanni Bocciolini come maestro, il professor Mario Ireneo Sturla prende il posto del dottor Lamberto Boranga nello staff medico. Il massaggiatore Ghisu è l’unico a conservare il ruolo.
A meno di un anno da quella infelice avventura nel deserto del Nevada, Salvatore Cherchi porta Giovanni Parisi ad affrontare Sammy Fuentes per il titolo Wbo dei superleggeri.
L’accordo è chiuso con il manager del campione. Non ricordo il suo nome, ricordo però la sua faccia. Così simile a quella dell’attore Paul Hogan nel ruolo di Crocodile Dundee, da regalargli come soprannome proprio Crocodile. È nato in Australia, ma vive a Los Angeles. Come l’arbitro Raul A. Caiz. Due giudici, i messicani Rafael Santos e Jesus Torres, parlano la lingua del detentore. Chiude la giuria l’inglese Roy Francis.
Cherchi incontra Crocodile.
«Quanto vuoi per portare Fuentes in Italia?» chiede il manager italiano.
«Quanto offri?» risponde l’australiano.
«Duecentomila dollari, ma voglio tre opzioni».
«Voglio 250.000 dollari e nessuna opzione».
«Bene».
«Ma voglio che 50.000 dollari siano versati subito».
«È una rapina, ma accetto l’affare».
Sammy Fuentes ha già firmato un contratto con il Great Western Forum di Inglewood, Los Angeles per la difesa contro lo sfidante ufficiale Carlos Bolillo Gonzalez. Con quell’organizzazione ha conquistato il titolo. A un mese dal match, arriva la telefonata che il manager sardo trapiantato a Milano non si aspetta.
«L’accordo con il Forum va rispettato, altrimenti il match non può avere luogo» dall’altro capo del filo c’è Paco Valcarcel, presidente della World Boxing Organizzation.
«È un sopruso. Se questo match salta, salti anche tu come presidente della Wbo» replica a brutto muso Cherchi.
Entrambi chiudono la telefonata buttando giù il telefono. Due giorni dopo arriva il nulla osta per il mondiale.
Lo organizza Andrea Locatelli che investe pesantemente su questa sogno, trova l’accordo con Tele+ 2 che trasmetterà l’incontro in diretta (telecronista Rino Tommasi, interviste di Mario Giambuzzi) e porta, assieme alla Gazzetta dello Sport, sul ring tutti gli italiani che hanno conquistato il titolo mondiale. Una grande spot per il pugilato in assoluto, per il nostro in particolare.
Fuentes, a un mese dalla sfida, sbarca a Roma. Alloggia al residence “I Castelli” di Fiumicino, a due passi dall’aeroporto. Si allena nella palestra di Luciano Sordini.
A dieci giorni dall’incontro, Crocodile telefona a Cherchi.
«Non facciamo il combattimento, torniamo a casa».
Salvatore prende il primo volo per Roma e alle 22:30 della sera è nell’albergo di Fiumicino.
«Che succede?»
«Il mio pugile non vuole combattere, ce ne andiamo».
«Sei sicuro di voler partire? Hai firmato un contratto per tanti soldi, hai preso un anticipo. Nessuno vi ha costretto a farlo. Sei sicuro di volere fare saltare tutto in aria? Io non obbligo nessuno. Sei padrone di andartene, ma se fossi in te non lo farei».
Alla fine rimangono, ma dopo l’incontro racconteranno ai giornalisti portoricani e soprattutto a quelli statunitensi, che lo pubblicheranno sui loro giornali, di avere ricevuto minacce dalla mafia, di esser stati obbligati a salire sul ring…
L’ultima settimana il clan del campione la trascorre a Milano. Con loro c’è Tony Curtis, che non è il famoso attore americano, ma il matchmaker del Forum di Los Angeles. Vogliono che Cherchi firmi alcune opzioni da sfruttare in caso di vittoria del nostro pugile. Il manager sardo sventa la trappola. Combatte, minaccia, si fa valere.
Il mondiale fa dimenticare i mille problemi della vigilia. È fantastico, ricco di colpi di scena, intenso.
PalaLido pieno, ottimi ascolti in Tv, elevatissimo indice di gradimento, perfetta organizzazione. Anche Locatelli è soddisfatto.
Il più felice è sicuramente Giovanni Parisi. Questo è stato, a mio giudizio, il suo più bel match da professionista.
A tratti subisce, tutti e tre giudici lo hanno sotto al momento dell’interruzione dell’incontro: 66-67, 66-68, 67-68. Ma quello che è capace di fare nell’ottavo round rimarrà nella testa di chiunque sia stato tra i fortunati testimoni di quella sfida. Porta tutti i colpi. Diretti, ganci e montanti. Alla mascella e al corpo. Un ritmo costante, una pressione continua.
L’altro incassa e sta lì. A tratti sembra un robot senza scelte, altre un uomo in cerca di aiuto. C’è un momento, dopo una serie consecutiva di quattro colpi a segno da parte di Parisi, in cui il portoricano lancia uno sguardo disperato a Raul Caiz jr. L’arbitro lascia proseguire. Ma dopo 2:20 dall’inizio della ripresa, quando la serie arriva a nove colpi a segno senza che il campione abbozzi una difesa, ferma Sammy Fuentes.
Finisce lì.
Il gancio destro è stata la chiave vincente, il montante sinistro è stato uno spettacolo assoluto che ha aperto la strada al trionfo.
Il PalaLido di Milano, strapieno di tifosi, esplode in un urlo liberatorio. La gente applaude, sembra non voglia più fermarsi. La squadra del pugile calabrese lo circonda, lo abbraccia.
La felicità è un dono da assaporare sino in fondo nel momento in cui si presenta. E questa sera lo ha fatto con incredibile puntualità.
L’impresa è stata compiuta.
Giovanni Parisi è di nuovo campione del mondo.

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