A 16 anni, oro nella boxe ai Giochi di Parigi ’24. Una storia fantastica

Inizio anni Ottanta, Chicago. Un uomo passeggia per le strade di Little Italy. Cammina per alcuni isolati, fino a quando non incrocia Maxwell Street. Sorriso ironico, il viso un ovale quasi perfetto. Ha un naso importante, la fronte spaziosa, i capelli bianchi ma ancora folti, pettinati all’indietro. 
Il suo nome è Jacob Finkelstein. In quella strada è nato, il 9 febbraio del 1908. 

Morris, il papà, era un ebreo russo emigrato negli Stati Uniti, gestiva una macelleria. Gli affari andavano bene. Non si poteva dire altrettanto della salute. La tubercolosi se lo sarebbe portato via. 
Jacob entrava in palestra a 14 anni, tirare pugni gli piaceva. Qualcosa però minacciava di rovinare tutto.
“Ragazzo, sei bravo ma con quel nome non puoi andare avanti. La gente che compra i biglietti non crederà mai che un ebreo possa essere un duro del ring”.
Capiva di non avere scelta. Americanizzava Jacob in Jackie, come cognome prendeva quello del primo coach Marty Fields. 
Cambiava spesso allenatore. 
Jack Blackburn aveva una profonda cicatrice, partiva dall’occhio sinistro per terminare appena sopra il labbro. Era il segno lasciato dal coltello di un rivale nelle strade di Filadelfia.
Gran bevitore di birra, Jack spesso si trasformava in una belva.
Come quella notte in cui, con quattro colpi di pistola, aveva ucciso Alonso Polk durante una lite. Poi aveva sparato anche alla moglie del polacco e alla sua compagna bianca. Arrestato e condannato a 15 anni, era uscito sulla parola dopo quattro. 
Buon pugile, si batteva dai medi ai massimi, 77 incontri ufficiali e più di 300 di quella boxe a mezza via tra le risse di strada e un vero combattimento.
Con il passare del tempo sarebbe diventato l’allenatore del mitico Joe Louis. 
Da lui Fields imparava il modo migliore per sfruttare il talento. Entrava in nazionale e volava in Europa per l’Olimpiade di Parigi. Combatteva tra i pesi piuma, il 20 luglio del 1924 era in finale.
Condivideva lo spogliatoio con il rivale di quel giorno. 
Qualcuno bussava alla porta.
“Ragazzi, tocca a voi”.
Jackie guardava Joseph Salas, 19 anni, statunitense anche lui. 
Si abbracciavano e piangevano.
“Figlioli miei, bisogna andare. Piangerete dopo”.
Sul ring se le davano come se non ci fosse un domani. 
I giudici assegnavano la vittoria, di stretta misura, a Fields.
A 16 anni diventava il più giovane campione nella storia del pugilato olimpico. 

(sotto, la squadra degli USA a Parigi ’24: 14 atleti per otto categorie di peso. Due ori con Fidel LaBarba e Jackie Fields, due argenti con Joe Salas e Salvatore Tripoli, un bronzo con Ray Free. Allenatore: Spike Webb)


Dopo pochi mesi passava professionista, tra i welter.
Il 25 marzo del ’29, a Chicago, batteva Young Jack Thompson ai punti in 10 riprese e conquistava il mondiale. 
“Un successo meritato. Ma qualcosa di brutto è accaduto nell’Arena di Chicago” (Prescott Evening Courier).
Alla fine dell’ottavo round si era scatenata una rissa nella balconata principale. Gli spettatori avevano tirato in platea le panche dove sedevano appena pochi istanti prima. 
A bordo ring qualcuno aveva cominciato a urlare.
“Aiuto! Arrivano i leoni!”
Altri, di rimando, avevano tenuto botta.
“Sul pavimento attorno al ring ci sono dei boa constrictor!”
Tra gli spettatori si accendeva un tumulto pazzesco.
Il fatto che tutta la sala, tranne il ring, fosse al buio e la consapevolezza che vicino a Coliseum ci fosse un circo che il giorno dopo avrebbe tenuto uno spettacolo con bestie feroci e pericolose, accendeva la fantasia di qualche irresponsabile. 
Era il caos. 
Alla fine, un tragico bilancio. Un morto, due feriti gravi e trenta ricoverati.
Fields perdeva il mondiale qualche tempo dopo, sconfitto a Detroit dal rivale a cui aveva tolto il titolo. Il 28 gennaio 1932 lo conquistava per la seconda volta. Ancora a Chicago. Davanti a 11.200 spettatori, sconfiggeva Lou Brouillard.
Aveva guadagnato buone borse, pensava avrebbe avuto una vecchiaia tranquilla. La Grande Depressione però non risparmiava nessuno. Doveva ricominciare. Andava a lavorare in un’azienda di jukebox, poi in una fabbrica di birre. Aggiungeva altro denaro a quanto gli era rimasto delle borse prese nel pugilato. Si trasferiva a Las Vegas e diventava il proprietario dell’Hotel Tropicana.

(sotto, l’autografo di Jackie Fields)

Ora passeggia su Maxwell Street. 
Indossa sempre quel sorriso che conquista. 
Ferma un taxi, sale e sparisce nel vento di Chicago.
Muore il 3 giugno del 1987 a Las Vegas.
Otto giorni dopo, lo segue Joseph Salas, il rivale, l’amico di lacrime e abbracci.
Jackie Fields, nel ’24 a Parigi, è diventato il più giovane pugile ad avere vinto l’oro in un’Olimpiade. Il prossimo anno, a un secolo di distanza, la capitale francese tornerà ad ospitare i Giochi. Nessuno però potrà battere il record del vecchio Jackie. 
Nella prossima edizione, la boxe olimpica è vietata ai nati dopo il 31 dicembre 2005.

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