Otto Wallin ha una storia da raccontare. Il 14 settembre sfiderà Tyson Fury

Era la notte tra il 26 e il 27 giugno del ’59.
Un ragazzino di nove anni era seduto in cucina e ascoltava la radio. Il papà lo aveva svegliato pochi minuti prima. Insieme avevano lentamente chiuso le porte delle loro camere da letto, avevano percorso l’ingresso cercando di fare il minor rumore possibile. In cucina avevano acceso la luce, per poi cercare con l’animo eccitato la stazione radio giusta.
La voce del commentatore veniva dallo Yankee Stadium, nel Bronx. New York, Stati Uniti d’America.
Erano in tanti ad essere svegli a Sundsvall, cittadina di cinquantamila abitanti, a quattro ore di macchina da Stoccolma. Erano in tanti in tutti la Svezia quelli che avevano deciso di fare l’alba ascoltando il radiocronista che parlava da così lontano.

Un ring al centro dello stadio. In un angolo il campione del mondo dei pesi massimi, Floyd Patterson: una sola sconfitta in 36 match. Nell’altro lo sfidante, Ingemar Johansson, svedese imbattuto: 21-0. Una nazione intera con il fiato sospeso.
Quel bambino di nove anni si chiamava Calle Wallin e adorava la boxe.
Tutti sognavano, molti di meno quelli che speravano. E invece…
Un massacro, nel terzo round Patterson finiva sette volte giù prima che l’arbitro Ruby Goldstein decretasse il kot dopo 2:03.
La festa poteva cominciare.

Sessant’anni dopo un altro peso massimo svedese cerca un ruolo da protagonista nell’universo dei massimi. Si chiama Otto Wallin ed è il figlio di Calle. Con il papà ha parlato spesso di un match di grande importanza nel regno della boxe, a Las Vegas. Hanno fatto progetti, congetture, sogni e promesse.
Otto ha lasciato Sundsvall ed è andato a New York per cercare di vivere la vita come l’aveva sognata. E il papà ha assecondato ogni suo gesto. Era stato lui a portarlo in palestra quando era ancora piccolino, era stato lui il primo insegnante.
Ingemar Johnasson ricopriva sempre lo stesso ruolo. Un mito non cambia mai posto nel cuore dei tifosi. Chissà se un giorno…
Due anni dopo essere sbarcato a New York, Otto aveva avuto la prima occasione di combattere negli States. Alla Boardwalk di Atlantic City affrontava Nick Kisner in un match sulle dieci riprese, la sfida sarebbe stata trasmessa in diretta da Showtime. Non era andata come lo svedese sognava. Nel primo round, dopo uno scontro fortuito di teste, il ragazzo del Maryland si procutava una larga e profonda ferita sulla fronte. Match sospeso. Niente gloria, né scarico di adrenalina.

In platea c’era anche il papà, arrivato laggiù per essere vicino al figlio e dividere con lui preoccupazioni, gioie ed emozioni.
Calle è morto il 22 maggio scorso, stroncato da un infarto.
Aveva 68 anni.
“Qualsiasi cosa mi accada, tu non fermarti mai. Vai avanti, vai avanti…”
Otto in questi tre mesi ha ripetuto più volte quelle parole nella sua testa, erano l’ultimo messaggio del papà.
Il match successivo avrebbe dovuto farlo contro B.J. Flores, ma la commissione medica fermava il suo avversario alla vigilia dell’incontro. Una maledizione che oscillava tra dramma e tragedia non voleva proprio abbandonarlo.

Poi, a sorpresa arrivava la proposta.
14 settembre a Las Vegas contro Tyson Fury.
Niente titolo in palio, ma un palcoscenico eccezionale che avrebbe generato un grande clamore. Neppure un secondo per riflettere, accettare era stato un piacere.
E qui la storia prende un’altra strada.
Otto Wallin non ha né i mezzi, né il curriculum per inseguire il sogno.
È imbattuto (21-0, 13 ko), è campione europeo, numero 4 della WBA. Tutto vero, ma non è al livello del gigante britannico.

Da dilettante (tra il 2008 e il 2010) ha affrontato due volte Anthony Joshua. E ha perso in entrambe le occasioni, poi è diventato uno dei suoi sparring. È un mancino, alto 1.97, che mi sembra non abbia grande pesantezza di pugno. Ha più di una pecca anche sul piano tecnico e non ha certo la velocità di Andy Ruiz jr.
I boomaker hanno messo assieme tutto questo e hanno annunciato le quote: Tyson Fury paga 1.04, Otto Wallin paga 11. Dire che sia sfavorito mi sembra un eufemismo.

 

Ho dato uno sguardo ad alcuni suoi match, mentre i video scorrevano sono stato assalito da qualche dubbio. Lui centrava l’avversario sui guantoni e quello crollava fulminato, appoggiava un jab non eccezionale e l’altro finiva ko. Poi sono arrivato al momento decisivo dell’incontro con David Gegeshidze (14 marzo 2015, video sopra). A vuoto il tentativo di gancio destro, a vuoto anche il sinistro. Gegeshidze crollava comunque al tappeto, come se fosse stato centrato da una palla di cannone. L’arbitro fermava il match, kot dopo 2:32 del secondo round. Mah…
“Wallin è meglio di Tom Schwarz perché ha un grande allenatore” ha detto in un’intervista radiofonica Teddy Atlas. Il coach in questione è Joey Gamache, due volte campione del mondo: nei superpiuma e nei leggeri. Ottimo maestro. Ma non credo possa bastare.
I tempi di Johansson sono lontani, in tutti i sensi. La Svezia ha proibito il professionismo dal 1970 al 2007. In questi ultimi dodici anni di fenomeni non se ne sono visti in giro. E non credo che Otto Wallin lo sia. È 4 per Wba, ma è anche 31 per il WBC e nelle classifiche più chiacchierate e criticate dell’anno, quelle di boxrec.com, occupa il posto numero 46.
Ha 28 anni e la testa piena di sogni.
Alcuni mi sembrano proprio impossibili da realizzare.
Il 14 settembre sul ring della T-Mobile Arena di Las Vegas ci sarà da soffrire. E per molti anni a venire credo che la Svezia dovrà continuare ad aspettare l’erede del mitico Ingemar. Tom Schwarz è durato meno di due round, dubito che Otto Wallin possa fare molto di più.

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