Addio Nino, pugile geniale e ribelle. Un divo che ha affascinato il mondo

Oggi se ne è andato via per sempre Nino Benvenuti. Dati anagrafici, vittorie e sconfitte, cosa ha vinto e quanto ha vinto, chi lo ha allenato, il riassunto, indicando solo i fatti e non le storie, di chi sia stato Giovanni Nino Benvenuti lo trovate in fondo. Di seguito c’è un ricordo dell’uomo e del campione, un’interpretazione personale. Sono ampi stralci dei primi due capitoli del libro che gli ho dedicato due anni fa. Nino, il divo ribelle della boxe.

La mano destra di Nino ha il pollice in una posizione innaturale, bloccato ad angolo retto rispetto al palmo.
È il ricordo di una frattura saldata male, mai guarita.
Il ciuffo è quello di sempre, ha solo assunto il colore bianco della neve. Il sorriso invece è rimasto lo stesso. Anche la struttura fisica non è mutata. Per una vita intera è stato fedele al limite della sua categoria, quella dei pesi medi. Poco sopra i 72 chili e mezzo.
Ma non per questo il mondo si è fermato. Il tempo ha sempre timbrato puntuale il cartellino della vita. A volte è trascorso lento per marcare le sofferenze, a volte ha corso veloce per non consentirgli di godere troppo dei momenti di gioia.
Sono arrivati così gli 85 anni. La buona notizia è che nessuno si è dimenticato di lui.
Praticando la nobile arte è riuscito a tenere svegli milioni di italiani. Era un divo, anche se un po’ ribelle. Regalava passioni forti. Era un fenomeno popolare, un pugile capace di generare incassi record. Novantaquattro milioni di lire nel 1969, al Palazzo dello Sport di Roma contro Louis Rodriguez. Quattro anni prima, a Milano, i Beatles si erano fermati a 58.
Ha vissuto la sofferenza dell’esule, la tragedia di una mamma morta giovane, i trionfi sul ring, per incamminarsi poi sulla la strada tortuosa di un amore contestato.
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Benvenuti ha spesso vissuto con il dubbio nel taschino. Paure ne aveva tante, come ciascuno di noi. Nel rifiuto di una fobia si dichiarava però diverso dalla maggioranza.
Giurava di non essersi mai lasciato spaventare dalla morte.
Una volta, in un’intervista, gli avevano chiesto il perché.
“Non mi preoccupa, perché sono cristiano e perché è la morte che ci fa amare la vita. Sai che noia vivere, pensando di essere eterni?”
Giovanni Nino Benvenuti ha attraversato questo mondo con il cipiglio del campione. Ha percorso il cammino della vita a modo suo. Coraggioso, ma pieno di ansie. Ribelle, ma ortodosso. Credo sia l’ossimoro che meglio lo rappresenti.
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Il popolo della boxe è una specie di setta, popolata da persone perbene e disonesti, eroi e vigliacchi, profittatori e altruisti. È la vita a somigliare alla boxe, non viceversa. Il pugilato è una disciplina dalle profonde contraddizioni come del resto lo è il percorso delle nostre esistenze. È questo il segreto, il motivo per cui si riesce ad amarlo. Soffrire, peccare, subire, imporsi, gioire.
La storia ricomincia ogni volta che un fighter sale i gradini che lo portano sul ring. Chi segue la boxe, come chi la pratica, è membro di una setta che non ammette tradimenti e respinge al mittente le domande scomode. Chi ne fa parte usa strane unità per misurare il tempo. Il passato è la gloria che è riuscito a conquistare. Grande, piccola, a volte addirittura inesistente, se non nelle illusioni. Il presente è sangue, sudore e lacrime in palestra. Il futuro è il prossimo match. Perché c’è sempre un incontro che li aspetta, anche se avrebbero dovuto smettere già da qualche anno.
E poi c’è l’idolo a cui si affezionano, a cui si attaccano, quello che vorrebbero essere, ma non sono riusciti neppure ad avvicinare.
Nino Benvenuti è stato tutto questo per milioni di italiani. Un bel ragazzo, forte e famoso, che guadagnava molti soldi ed era amato dalle donne. Vinceva sul ring, conosceva le parole giuste per raccontare quelle vittorie. Divorava i libri, quelli di Ernest Hemingway erano i preferiti. Sulla sua fronte aveva ancora quel ciuffo ribelle che sfoggiava da bambino. Un naso prepotente, il sorriso da playboy, quello di un uomo abituato a non chiedere mai. Era un incantatore. Un pifferaio magico, in milioni lo seguivano senza chiedersi quale fosse il prezzo per quella scelta audace. Piaceva quasi a tutti, soprattutto piaceva a sé stesso. Al punto da cercare di rimanere fedele al personaggio in ogni apparizione pubblica.

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Nome: Giovanni, detto Nino.
Cognome: Benvenuti.
Nato a: Isola d’Istria il 26 aprile 1938.
Alto: 1.80.
Esordio: 10 febbraio 1961 (Ben Ali Allala, Trieste, vittoria ai punti in 6)
Ultimo match: 8 maggio 1971 (Carlos Monzon, Montecarlo, sconfitta kot 3)
Da dilettante: 119 vittorie, 1 sconfitta.
Titoli: campione italiano welter, superwelter, medi.
Due volte campione europeo superwelter.
Oro ai Giochi di Roma 1960 nei welter. Coppa Val Barker come migliore pugile dell’Olimpiade.
Allenatori: Steve Klaus, Natalino Rea, Toni Caneo, Luciano Zorzenon, Pino Culot, Paolo Buttazzoni, Nino Tiralongo.
Da professionista: 82-7-1, 35 ko.
Ha sconfitto: Tony Montano, Ted Wright, Carlo Duran, Sandro Mazzinghi (due volte), Luis Folledo, Tom Bethea, Don Fullmer, Jupp Elze, Emile Griffith (due volte), Luis Rodriguez.
Titoli: campione italiano, europeo e mondiale WBA/WBC superwelter. Campione mondiale WBA/WBC pesi medi.
Allenatori: Libero Golinelli, Al Silvani, Toni Caneo
Manager: Bruno Amaduzzi


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