
STORIE
Settima puntata. Gennaio dell’87, New York. C’è Maurizio Stecca che dovrà combattere al Felt Forum, ma soprattutto ci sono lo stesso Icio e Francesco Damiani che devono allenarsi nel Bronx…
La pioggia cade violenta e gelata sulla città.
Nel fine settimana è prevista la prima riunione dell’anno al Felt Forum, all’interno del complesso del Madison Square Garden. Gli uomini che gestiscono la boxe per l’impianto, invitano a cena un gruppo di amici. A tavola siedono uno accanto all’altra Vito Antuofermo e la signora Elena Dempsey, la vedova del grande Jack: il campione dei pesi massimi nei ruggenti anni Venti. Alla cena partecipano altri quattro italiani: Maurizio Stecca, Francesco Damiani, Giovanni Branchini ed Elio Ghelfi.
Icio sarà tra i protagonisti dell’evento che avrà il clou nella sfida tra pesi medi, l’imbattuto Michael Olaijde contro Richard Burton.
Al mattino footing nel verde di Central Park, nel pomeriggio allenamento. Questo è il programma. C’è però un problema.
La palestra dove Stecca e Damiani vanno di solito non ha spazi a disposizione. Il Boxing Club dove allena Emile Griffith, sulla 42esima vicino Times Square, al secondo piano che si raggiunge attraverso una scala in legno stretta e consunta, è piena. Stessa cosa per la Gleason’s Gym. La terza soluzione proposta è quella giusta. Una palestra nel Bronx.
Il tragitto richiede uno spostamento in taxi, poco più di mezz’ora. Partenza dall’albergo, nel centro di Manhattan, dove alloggia la comitiva italiana. Tranquilla la prima metà del viaggio in direzione nord. Poco dopo aver attraversato l’Alexander Hamilton Bridge, sopra il fiume Harlem, c’è il cambio di taxi. Quando il conducente apre il portabagagli per caricare le borse dei due romagnoli, Icio e Francesco si accorgono che qualcosa non va…
Dentro quel portabagagli ci sono armi, mazze da baseball, sbarre di ferro. Insomma, un vero e proprio arsenale.
«Ehi, ma cosa è questa roba qui?» chiedono i due.
«Tranquilli» risponde il taxi driver.
«Tranquilli?».
«State calmi, non c’è niente di cui preoccuparsi».
«Calmi? Ma dove andiamo? Noi ci stiamo preoccupando!».
«Voi andate ad allenarvi, io vi accompagno».
Partono. La palestra in realtà è un grande capannone, con più di uno spiraglio, diciamo, per far entrare l’aria. Appena dentro, Stecca e Damiani vedono un’incredibile quantità di pugili che fanno i guanti, si allenano, picchiano il sacco, sollevano pesi, saltano la corda.
E, soprattutto, fissano loro due.
Vestiti con le tute eleganti della Totip, i borsoni di classe consegnati dallo sponsor e quelle facce candide sono decisamente fuori posto nell’inferno del Bronx.
Si comincia.
Al di là di uno dei buchi sul capannone si vede passare il treno. Un serpentone pieno di graffiti. Un po’ in stile I guerrieri della notte, tanto per capirci. Dentro, il panorama non è di quelli da festa all’oratorio.
«Come è finita?» chiedo ai due quando risaliamo in macchina.
«È finita che gli abbiamo regalato anche le mutande» rispondono in coro.
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