
Credo che Daniele moruzzi (a destra nella foto) si sia sentito davvero libero solo a fine match.
La boxe è stata la sua compagna di viaggio nell’ultimo anno e mezzo nel carcere di Spoleto. Arrestato il 3 luglio del 2020, ha scontato quattro anni di detenzione (estorsione è il reato per cui è stato condannato). Domenica 26 maggio, alle 9, è arrivato il fine pena. È uscito dall’Istituto penitenziale umbro per fare ritorno a casa. A Fiumicino. La sera stessa è salito sul ring contro il siciliano Ignazio Di Bella. Vittoria ai punti in sei riprese, dopo più di otto anni di assenza dal ring (non combatteva dal 30 aprile 2016).
Ma il risultato non è stato il primo dei suoi pensieri.
Il match è stato un modo per ringraziare lo sport che lo ha aiutato a capire gli errori, a trovare il modo per resistere alla tentazione di autocommiserarsi, a non perdere la voglia di riscatto. L’incontro di domenica è stato anche un modo per scaricare la tensione, tornare a un vecchio amore e dire grazie agli amori che lo hanno aiutato ad andare avanti.
“La boxe vuol dire tanto per me, perché non sviluppa solo muscoli e potenza. Nel pugilato come nella vita, devi imparare a dosare l’equilibrio tra forza fisica e mentale, coraggio e paura. Sfidi l’avversario, ma soprattutto sfidi te stesso, conosci i tuoi limiti e impari a superarli. Grazie dunque alla boxe, ma senza Loredana e i miei figli non ce l’avrei mai fatta. Loro vengono prima di tutto e se non ho mai mollato, l’ho fatto grazie a loro. Vorrei fossero orgogliosi di me”.
Pietro e Primo sono i suoi due figli, Sofia è la figlia della sua compagna Loredana Iovino.

Daniele (sopra la storia di Daniele Moruzzi, pubblicata il 16 maggio dal Corriere dello Sport-Stadio) ha sbagliato, ha scontato la pena, è tornato a vivere.
“Ho commesso un errore, per questo ho pagato il mio debito con la società. In carcere di tempo a disposizione ne hai molto, ognuno può scegliere come usarlo. Dormire tutto il giorno per nascondersi dalla realtà, chiudersi in sé stessi accumulando rabbia o frustrazione, oppure si può scegliere di riflettere sulla propria vita e sfruttare quel tempo per crescere. Questo è quello che io ho scelto ed è anche quello che consiglio a chiunque stia vivendo o vivrà la detenzione. Non giudico e non mi permetto di dare insegnamenti. Racconto solo la mia esperienza. Quello che conta non è la reclusione o la libertà, ma il nostro essere uomini. Ed è per questo che dobbiamo lottare”.
Prepararsi non è stato semplice. Moruzzi aveva a disposizione un sacco e un paio di guantoni. Niente sparring. Ha trovato due amici che lo hanno aiutato. Salvatore Mozzillo, una passione sfrenata per il ciclismo, gli ha dato una mano per quel che riguarda la preparazione atletica. Ibrahim Bilali lo ha supportato per quella tecnica. Un maestro dal passato importante. Da dilettante ha vinto il bronzo all’Olimpiade di Los Angeles 1984.
Il primo obiettivo è stato centrato. Ora Daniele Moruzzi (20-2-0, 7 ko il suo record da professionista) sente il bisogno di chiudere il cerchio. Un altro match ancora. A Spoleto, dove ha trascorso gli ultimi quattro anni della sua vita.

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