Signani ha ancora voglia di sognare. Ottobre, difesa europea a Londra

Il sogno è una costruzione dell’intelligenza, cui il costruttore assiste senza sapere come andrà a finire (Cesare Pavese)

Sono stati giorni, mesi, di lacrime e dolori, crisi e confessioni. Matteo Signani (foto sopra, la notte della conquista europea a Trento) li ha vissuti intensamente, come era normale che fosse.
Il primo colpo sembrava terribile. Poi, come a volte accade nella vita, lo scenario si allarga e la tragedia colpisce ancora più forte. 


A fine marzo, a tre giorni dalla difesa dell’europeo dei medi a Londra, saltava la sfida con Felix Cash. Mesi di allenamento in fumo, vanificato il tempo trascorso passando da un sacrificio all’altro. Il peso, l’allenamento, il dolore, le privazioni. Nessuno potrà mai risarcirlo per questo.
È in quei momenti che Matteo mi confessava: “Ho voglia di mandare tutti a quel paese“, poi aggiungeva qualche parola che alleviava il magone che aveva dentro: “Mi prendo tempo, chiedo a me stesso pace e serenità prima di prendere qualsiasi decisione“.


A inizio maggio la botta arrivava all’improvviso, così devastante e sorprendente da spedirlo al tappeto. Secondo Signani, il suo papà (foto sopra), se ne andava via per sempre. Erano legati in modo intenso. Dopo la vittoria in Francia, nell’ottobre del 2020 contro Maxim Beaussire, Matteo mi aveva raccontato un’emozione.
Mi hanno chiamato subito la mamma e il papà. Lui è un signore all’antica, forte, tosto. Stavolta si è commosso. E questo mi ha reso la persona più felice del mondo”.
Secondo se ne era andato via velocemente, lasciando un vuoto incolmabile. È stato in quei giorni che Matteo ha pensato di chiuderla lì, di smettere, di spezzare il filo che lo legava al pugilato.
Da più di vent’anni saliva su un ring, prendeva e tirava cazzotti. Il suo è un mestiere logorante. Adesso mamma Lucia, le sorelle Raffaella e Alba chiedevano una maggiore presenza. Lui non si faceva certo pregare. La mattina al lavoro, il pomeriggio ad aiutare la famiglia in quell’orto così caro al suo papà.


E poi c’era l’impegno importante con Eleonora (foto sopra), la compagna. Aspettano un bambino. Nascerà a fine settembre. Bisognava ristrutturare la casa, preparare la nuova stanza. E così Matteo si metteva a fare la calce assieme ai muratori. Sgobbava, lavorava duro, non si fermava un attimo. A volte sembrava una trottola, altre un operaio che non conosce la fatica.
La sera andava a letto stanco morto.
E sognava.
Una notte, davvero speciale, era venuto a trovarlo Secondo, il suo papà. Gli aveva parlato.
Fai quello che credi, nella vita devi sempre inseguire qualcosa. E, se te la senti e pensi di farcela, devi andartela a prendere”.
Lui decodificava il sogno, seguendo l’interpretazione che preferiva. Quella che da un po’ di tempo gli girava nella testa.
Sì, lo faccio quest’ultimo match. Tanto, ritirarsi da campione o senza titolo per me non fa una grande differenza. So già che quando perderò, gli amici che mi vogliono bene rimarranno, gli altri torneranno nel buio da dove sono venuti”.
E così che, un paio di giorni dopo, tornava in palestra.


Il suo ultimo maestro Giampiero Morelli non poteva allenarlo, e poi continuava a dirgli che avrebbe dovuto chiuderla lì. Voleva trovare qualcuno che ci credesse, qualcuno che fosse disposto a vivere con determinazione quest’ultima avventura pugilistica.
Lo trovava facendo un salto nel passato.
Andava a Ravenna e bussava alla porta di Meo Gordini (foto sopra, dal profilo Instagram di Matteo Signani), il maestro della conquista. Con lui era arrivato in cima all’Europa, con lui voleva chiudere il cerchio.
Meo, ci stai?”
Gordini si prendeva una pausa di riflessione.
Poi, metteva in fila le sue domande.
Perché lo fai?
Perché mi sento bene“.
Stai per diventare padre. Sei sicuro?
Ho parlato con Eleonora le ho chiesto cosa ne pensasse. Mi ha risposto: Fai quello che senti“.
Sei sicuro della tua scelta?
Sono sicuro“.
Meo, ci pensava e ripensava. A 76 anni la responsabilità era davvero tanta. Quando passa i quaranta, un pugile può conoscere la sua reale condizione solo quando è sul ring, durante il match. Alla fine Gordini decideva di rimettere in moto la macchina. Il lavoro poteva cominciare.
Gli allenamenti settimanali venivano divisi tra due palestre: tre giorni a Savignano sul Rubicone (all’Italica Boxe di Nello Carabini), altrettanti a Ravenna (alla Gordini Boxe).
Ed eccoci a oggi.
Arriva la proposta della famiglia Cherchi. È interessante, un capolavoro manageriale. Una buona borsa, un avversario bravo ma non impossibile.
Il cerchio si chiude.
In ottobre a Londra, Matteo Signani (32-6-3, 12 ko) affronterà Tyler Denny (17-2-3, nessuna vittoria per ko), 32enne del West Midlands, numero 9 dell’EBU. Avversario tosto, ma anche un tipo contro cui Matteo può tentare l’impresa.


Il 5 giugno Signani, detto il Giaguaro, ha compiuto 44 anni. Ha un lavoro che gli piace, è Sottocapo di prima classe Scelto, in servizio presso la Capitaneria di porto di Rimini (foto sopra, con l’ammiraglio Enrico Credentino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare).
Ha una famiglia che gli vuole un gran bene, una compagna che lo ama e sta per dargli il primo bambino, un gruppo di amici di quelli che non mollano mai. Quando parla di loro li chiama Uomo Gatto, Volpe, Squalo e Beccamorto. In Romagna, un soprannome non si nega a nessuno, in fondo lui per tutti è il Giaguaro.
Insomma, Matteo Signani ha una vita serena, a tratti addirittura felice. E allora perché?
Ho 44 anni, ma non mi preoccupo. L’unica che si preoccupa è la mia mamma. Le mamme sono sempre in ansia per i loro figlioli, ma con lei dura poco. Poi si rasserena, perché sa. Mi vede ogni giorno. Faccio una vita sana, senza esagerare, non mi concedo stravizi. Ho per compagno il sacrificio. Assieme andremo avanti. Amo la boxe, la gioia che mi regala. Ogni volta che entro in una palestra mi sento come un bambino in una sala giochi. Questa emozione sul ring diventa la mia forza, il mio carburante. No, non è arrivato il tempo di smettere. Manca ancora un match”.
La storia si ripete. Per un pugile la cosa più difficile è decidere di chiuderla lì.
Ci penso spesso, ma dirlo mi crea un attimo di panico. Fatico a non piangere. Sì, c’è una cosa che mi fa davvero paura nella boxe. È il momento in cui dovrò dire basta. Ci penso e tremo. Dura un attimo. Poi rivedo le vittorie europee e tutto passa. Ogni cosa ha un inizio e una fine. Non so quanto durerà ancora questa avventura, lasciatemela godere finché sono in cima”.
È proprio vero, l’ultimo match per un pugile è sempre il prossimo.

IL TEAM DEL GIAGUARO
Capo allenatore: Bartolomeo Gordini
Secondo/trainer: Fabrizio Gregori Del Vecchio
Aiuto trainer: Riccardo Di Leonardo
Preparatore atletico: Nicola Zignani
Medico nutrizionista: Andrea Del Seppia




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