
Manchester, 29 gennaio 2000
Mike Tyson mette ko Julius Francis a 1:03 della seconda ripresa, dopo avergli inflitto quattro knock down.
Londra, giugno 2022
Julius Francis (sopra in un’immagine del match di esibizione sostenuto per beneficenza la scorsa settimana) oggi lavora come guardia in un servizio di sicurezza. Sabato ha messo ko un ragazzo che stava creando fastidi nell’area di divertimento BOXPARK a Wembley.
Francis, 57enne, era appena fuori dall’area dell’ingresso. Il tizio ha ingaggiato un’animata discussione con altre persone della sicurezza, ha poi spintonato una guardia e tentato di colpirne un’altra alzando sempre di più la voce e aumentando la sua aggressività. Quando si è portato fuori dalla zona calda, continuando comunque nel suo atteggiamento, si è visto davanti l’omone. Un gancio destro dell’ex peso massimo l’ha centrato e lui è crollato a terra.
Nel video pubblicato su Twitter da @gloryglorytott sembra sia svenuto.
La polizia ha aperto un’indagine sull’accaduto, l’ex pugile ha ammesso di essersi comportato in modo sbagliato.
Quella che segue è la storia del match tra Julius Francis e Mike Tyson. Io ero lì, a bordo ring, nella M.E.N. Arena di Manchester quella notte.

Vado da Julius Francis.
È un omone, ma fatica a convincermi di essere un pericolo per Iron Mike.
Ha due piccoli tatuaggi sulla mano destra: JW, le iniziali di John Williams. È l’amico del cuore morto di cancro a 37 anni. La vita mi ha messo davanti pericoli ben più grandi di Tyson.
A dieci anni viene dato in affidamento. La mamma è morta quando lui era ancora un bambino e il papà lavora come camionista. Sempre fuori casa, non può occuparsi di lui.
La compagnia la trova all’interno di una gang, metà della gioventù la passa in galera.
Viene accoltellato alla milza, rischia di morire. Per suturare quella ferita servono sessanta punti. Gli sparano, la sfiora la tempia. Una sottile striscia di sangue, il terrore negli occhi. Ruba, rapina, spaccia droga.
Il futuro sembra non esistere per questo giovanotto venuto su a Peckham, nella zona sud-est di Londra. Quattro figli, da quattro donne diverse. In prigione anche il giorno in cui la primogenita Lonnie festeggiava un anno di vita.
In cella comincia a leggere la Bibbia, aderisce alla Chiesa dei Cristiani Rinati. Quando esce la vita ha un sapore diverso, può cominciare una nuova avventura.
In palestra entra a 25 anni, tre stagioni dopo passa professionista. Frank Maloney il manager, Mark Roe il maestro. Anche loro vengono dalle lotte tra gang.
“Vivevamo in un’area controllata maledetta, se non eri nel crimine venivi considerato una mammoletta. Mi ricordo un Natale, ero con un amico e nel bagagliaio avevamo quattro casse di whiskey. La polizia ci ferma e ne prende tre, poi ci lascia andare. Neppure Don King lavora con queste percentuali…” racconta Maloney.
Nessuno pensa che Julius Francis possa reggere l’urto di Mike Tyson, Non lo pensa neppure il Daily Mirror, tabloid londinese, che sponsorizza le suole delle sue scarpe (foto sopra) versando centocinquanta milioni di lire. Si vedranno in tv quando finirà steso sul tappeto, così nasce l’investimento pubblicitario del giornale.
Big Dog, così lo chiamano i tifosi, alza le spalle e guarda avanti. Ogni notte sogna James Buster Douglas e quello che l’uomo di Columbus è stato capace di fare sul ring di Tokyo.
È il solo a credere che la favola possa ripetersi.
Quando Iron Mike esce per andare alle operazioni di peso, una folla di almeno duecento tifosi assale la Bentley dai vetri oscurati. Una ragazza si spezza le unghie nel tentativo di attirare la sua attenzione, un’altra nella calca quasi ci rimette una gamba. A due passi c’è Julius Francis. Nessuno lo degna di uno sguardo.
I giornali inglesi non perdono l’occasione per andare giù pesanti
“Arriva Tyson, chiudete a chiave le vostre figlie” (Boxing Monthly)
“Tyson è il turista più schifoso di Londra. Lui e il suo clan offrono uno spettacolo repellente” (Evening Standard).
“Mordimi l’orecchio e ti faccio la pipì addosso” (Daily Star accanto a una foto di Tyson che bacia sulla guancia un bambino).
“Attento all’orecchio ragazzo” (The Sun, accanto alla stessa foto).
“Il clan di Tyson ha cercato di portare nel letto del campione Samantha Nuttall, ballerina di lapdance” (Sunday People).
Alla conferenza stampa Iron Mike si tortura le treccine ispide, capelli annodati in stile rasta. Muove lentamente il polso facendo brillare un orologio tempestato di diamanti che ha acquistato per più di un miliardo di lire.
Julius si rimette il walkman e si isola dal mondo. Ascolta Keith Murray, rapper americano finito in prigione per avere pugnalato un uomo in un bar del Connecticut. Canzoni dure, parole e ritmi che colpiscono l’anima. Spera che la musica possa aiutarlo a trovare un’identità, a restituirgli la visibilità perduta inseguendo una sfida impossibile.
Il match non regala sorprese. Big Dog si mette giù come un cagnone tranquillo, rispettoso del padrone. Cinque conteggi, compreso il kot finale in poco più di quattro minuti. I ventunomila della MEN Arena hanno quello che volevano. Tyson pianifica la distruzione come ai vecchi tempi. Prima gli bastava esibire i muscoli sul ring, battersi la testa con i pugni al suono del primo gong e poi avanzare verso la vittima di turno. Non è più così. Adesso deve faticare. Le gambe non hanno più la velocità di un tempo. La difesa non ce la fa più a reggersi solo sulle oscillazioni del tronco. La potenza è rimasta intatta, ma per scatenarla Iron Mike deve avere mente e anima libere. Accade raramente. E quando non accade, lui finisce ko contro Holyfield e gli morde l’orecchio nella rivincita, prova a rompere il braccio di Botha, colpisce Norris dopo il gong.
Tyson torna in albergo.
Tifosi con le facce lucide, i capelli bagnati e la voce impastata dall’alcool chiedono al loro eroe di scannare quei bastardi che hanno osato mettere in dubbio il suo valore.
“I wanted to bang him out”.
Volevo sbatterlo fuori.
Julius Francis non aveva speranze.
Party, balli e alcool sino a notte fonda. Alle 11 del mattino c’è il volo che da Gatwick riporta tutto il clan Tyson a Newark. Adesso, nella testa del campione, Big Dog è solo un altro sulla lista dei ko.
Da domani ricomincia la caccia a un’altra storia violenta da raccontare.
(da Il match fantasma di Dario Torromeo, Absolutely Free editore).