Marvin Hagler vs Thomas Hearns
(15 aprile 1985)
2. continua
In un tempo in cui siamo condannati alla solitudine, mi piace ricordare i giorni in cui attraversavo il mondo andando a caccia di storie da narrare. Non è una classifica dei migliori match della mia vita, né dei più importanti. Sono semplicemente dieci incontri che
mi hanno regalato intensi ricordi.
Il primo colpo è un gancio destro, il gong è suonato da un secondo e il gancio destro di Hagler si è già stampato sulla mascella di Thomas Hearns. È la notte del 15 aprile del 1985, il ring è quello del Caesars Palace di Las Vegas, l’arbitro si chiama Richard Steele.
Il vento che arrivava dal deserto ha reso fresca la serata al termine di una giornata calda e umida. Marvin difende per l’undicesima volta il mondiale dei medi. Titolo unificato, Wbc, Wba, Ibf. Niente banda dell’alfabeto, il campione è uno solo.
Hagler ha 30 anni e per arrivare così in alto ha avuto bisogno della sua bravura, ma anche del potere di un uomo che sta riscrivendo la storia del pugilato.
Bob Arum è un distinto signore sulla cinquantina. Quando parla protende un po’ in avanti il viso, come se voglia attirare tutta l’attenzione dell’interlocutore. Il suo è un inglese chiaro, da uomo colto. Se la persona a cui si rivolge è straniera, la parlata assume cadenze lente. Non vuole correre il rischio di essere frainteso. Si è laureato con lode alla facoltà di legge dell’Università di Harvard. Nel suo passato c’è stato un ruolo importante nello staff di Bob Kennedy, quando il senatore democristiano era impegnato nella corsa alla Casa Bianca. Arum ha lavorato per lui come avvocato esperto in problemi di tasse e finanza. Ha lavorato anche al dipartimento di giustizia dello Stato di New York, è stimato a Wall Street. Ha ignorato la boxe sino al 1965, poi ha capito che poteva fargli guadagnare una montagna di soldi. E si è lanciato nell’avventura.
Con lui, dal 1977, c’è anche Rodolfo Sabbatini.
Classe 1927. Ex giornalista prima dell’Avanti, ai tempi in cui il direttore era Sandro Pertini, poi a Paese Sera. Rodolfo è il miglior organizzatore d’Europa. Un omone che adora la polemica e la alimenta con quel suo vocione roco e la cadenza piacevolmente romana.
Lo incrocio nella gigantesca hall del Caesars Palace.
“Chi vincerà?”
“Dario tu sei sempre stato un uomo contro, ma per una volta dammi retta. Marvin lo metterà ko”.
“Hearns ha perso un solo match, contro Ray Sugar Leonard, a una ripresa dalla fine quando era in vantaggio ai punti. È stato campione del mondo dei welter battendo Pipino Cuevas, è stato campione dei superwelter superando Wilfredo Benitez. Ha messo ko Roberto mani di pietra Duran con un diretto che sembrava una fucilata. Perché dovrebbe perdere prima del limite?”
“Perchè i medi non sono la sua categoria, mentre Marvin ci sta dentro da sempre”.
All’angolo di Hagler ci sono i fratelli Petronelli. Sono i manager, gli allenatori, i confidenti, gli amici. Si sono sempre occupati di lui con tanta dedizione. Pat e Goody Petronelli sono nati a Casalvecchio, un paesino vicino Foggia. Una comunità di emigranti albanesi di lunga data. Un posto che ha avuto anche un altro nome, glielo avevano dato gli Arbereschi. Si chiamava Kazalleveqi e quando i Petronelli erano bambini stava vivendo un piccolo boom demografico. Tremila abitanti, quanti non ne aveva mai avuti prima, quanti non ne avrebbe mai avuti dopo. Poi, la famiglia di Guerrino e Pasquale, questi i loro nomi quando vivevano ancora a Casalvecchio, è emigrata in America. Assieme al papà hanno messo su una piccola azienda edilizia. Goody è stato per venti anni in Marina, nel servizio sanitario. Pat ha fatto il muratore. Adesso gestiscono una piccola palestra dove Goody fa da maestro, forte di una carriera professionistica che è arrivata fino a ventisei incontri, con una sola sconfitta. Una mano rotta, e curata male, non gli ha permesso di andare avanti. Ora si diverte ad insegnare ai ragazzi.
Marvin lavorava nel loro cantiere. Tre dollari al giorno per tirare su muri o impastare la calce. Nel 1969, a 15 anni, è entrato per la prima volta nella palestra dei Petronelli. Nasceva quello che sarebbe diventato famoso nel mondo come il triangolo. Marvin Hagler non era ancora Meraviglioso, ma aveva appena fatto la scelta che avrebbe cambiato la sua vita.
Due colpi al corpo di Hagler, un gancio destro di Hearns, due ganci sinistri di Hagler, il diretto destro di Hearns.
Gli ultimi quaranta secondi del primo round sono una guerra. Non c’è posto per l’attesa, si sparano pugni come se fossero proiettili di una mitragliatrice. L’obiettivo è distruggere l’altro, a qualsiasi prezzo.
Thomas Hearns ha scelto di combattere in equilibrio precario, quasi ballando sulle punte. È più alto di dieci centimetri, le sue braccia potrebbero tenere lontano il rivale, creare una ragnatela attraverso la quale sarebbe difficile passare. Ma ha troppa considerazione di se stesso per pensare che Hagler possa avere più potenza di lui.
Hearns ha 27 anni, 34 vittorie per ko e sei ai punti. Perchè mai dovrebbe temere questo giovanotto che viene da Newark, da Brockton o da dove volete voi? L’unico campione di quelle parti ha un altro nome, si chiama Rocky Marciano, era un peso massimo, ed è morto.
Alla fine del primo round Goody cerca di tamponare una ferita sulla fronte di Marvin. Un taglio, appena sopra l’arcata sopracciliare destra. Butta molto sangue, può diventare pericoloso. Cotone, pomata, cicatrizzanti, un lavoro frenetico.
“Non preoccuparti, Marvin. Chiudi gli occhi, lasciami fare”.
La soluzione di adrenalina dovrebbe funzionare. Un minuto per occuparsi di quel taglio è poco, ma Goody non è uomo da perdere la calma. Non l’ha mai persa. Ha la faccia di un bonaccione, ma chi lo conosce bene sa che è lui la guida di famiglia. Pat fa il manager, prende contatti con gli organizzatori, gestisce il patrimonio. Ma è Goody a comandare in palestra e sul ring.
«Alla testa Marvin, picchialo alla testa».
Bertha nelle prime file di ring continua a urlare con voce stridula quello che più che un consiglio sembra una preghiera. È la moglie di Hagler, la madre dei loro cinque figli, Pat Petronelli ha fatto da padrino alla cresima di Chanelle, una delle ragazze. Bertha dondola sulla sua sedia, sembra in trance e continua a ripetere quell’invocazione.
Secondo round.
Emmanuel Steward strilla: “Boxa Thommy, boxa”.
Il ritmo è folle. Hearns prova a cambiare guardia per evitare il jab destro del campione mancino. L’altro continua a pressare. Il fisico di Hagler è una scultura perfetta. I muscoli disegnano il torace senza un difetto. Anche la sua boxe sembra esente da colpe. Il gancio sinistro con cui scuote due volte il rivale è da manuale. È un colpo che basa la potenza sulla rotazione dell’anca e sulla leva fornita dalla spalla. Raggiunge il massimo effetto a corta distanza. Marvin ha un rapporto altezza/peso perfetto per scagliarlo ottenendo il massimo del risultato.
Quando suona il gong, Hearns torna all’angolo guardando fisso il campione. Sorridendo, come se voglia fargli capire che di quei ganci non ne ha sentito neppure uno, non hanno fatto danni. Deve essere piuttosto l’altro a preoccuparsi. Thomas ha tirato 61 colpi, 26 dei quali sono andati a segno. Ed hanno fatto male al presuntuoso campione. Nessuno dei pugni lanciati da Hagler lo ha preoccupato. Niente può scalfirlo. Questo è il messaggio, ma il volto preoccupato di Emmauel Steward, boss del Kronk Gym di Detroit e padre sportivo di Thomas Hearns, non trasmette lo stesso concetto.
Nello spogliatoio, prima della sfida, tutto è stato così semplice. Gli uomini ritmavano il nome dello sfidante, poi prendevano a pugni il muro. Thomas Hearns ballava, gli altri alzavano i pugni verso il cielo. Nel camerino accanto, Hagler ascoltava in silenzio, poi sussurrava qualcosa.
“Non può portarseli tutti sul ring. Lassù ci saremo solo noi. Lui ed io”.
Subito dopo cominciva a ritmare, sottovoce, due parole.
“Distruction and distroy”.
Le ripeteva come una sorta di mantra mentre il resto dello spogliatoio se ne stava completamente in silenzio. Neppure un grido di incitamento, un consiglio, un’invocazione. Proprio come era accaduto nella vecchia palestra a Main e Charleston street dove Marvin si è allenato nei suoi giorni a Las Vegas. È lì che ha fatto le sedute di guanti, al Ring Side Gym: il rifugio del mitico Johnny Tocco. Nessuno estraneo aveva accesso in quel buco dove la religione era quella di sempre.
Sangue, sudore e lacrime per chi insegue la gloria.
Finale di ripresa. Destro-sinistro di Hagler, ancora destro. Hearns è scosso. Prima del match ha fatto un lungo massaggio alle gambe, ma l’uomo che doveva prendersene cura ha sbagliato qualcosa. Un massaggio forse troppo lungo e adesso le gambe sembrano deboli, incapaci di sostenerlo in quella che è davvero diventata una guerra. In poco più di otto minuti, hanno tirato 339 colpi. Più di uno al secondo. Più della metà dei quali è andata a segno.
Terzo round. Il destro di Hearns scuote Hagler che è alle corde.
Richard Steele ferma il match. La ferita si sta aprendo sempre di più, ora rischia di diventare pericolosa.
Steele: “Ehi Marvin, riesci a vedere con tutto quel sangue che viene giù dal taglio?“
Hagler: “Perchè, ti sembra che non lo stia riempiendo abbastanza di pugni? Lo sto forse mancando?“
L’arbitro chiama il medico, si agitano gli uomini d’angolo del campione. Il dottor Donald Romeo fa segno che, per ora, si può continuare. Ma alla prossima chiamata fermerà il match. Marvin sa di avere poco tempo a disposizione, se vuole salvare il mondiale.
Tre sinistri in fila del Cobra di Detroit. Poi, la fine.
Il primo destro di Hagler centra Hearns appena dietro l’orecchio sinistro, all’altezza dell’occhio. Thomas perde l’equilibrio, barcolla. Marvin lo insegue. Due passetti rapidi e ancora un destro che fa fare allo sfidante un mezzo giro su se stesso, Hearns cerca rifugio alle corde. Non fa in tempo ad arrivarci, non riesce a trovare una sponda su cui poggiarsi. Il terzo destro del campione del mondo parte largo. È un gancio che si abbatte come una mannaia sulla mascella di Hearns. Una botta terribile, una sorta di esecuzione.
Thomas si affloscia lentamente al tappeto, va giù in cerca di qualsiasi cosa possa restituirgli stabilità. Un uomo in croce, con gli occhi aperti per guardare in faccia la paura. Poi prova a rimettersi in piedi, ma cade tra le braccia di Richard Steele che, con un gesto carico di umana pietà, lo aiuta a rimettersi sdraiato sul ring. Corre Emmanuel Steward, prova a tirarlo su, a togliergli il paradenti, a farlo respirare meglio.
Corre il fratello di Thomas, sul volto ha una preoccupazione infinita. Hearns non è in grado di stare in piedi da solo. Lo porta a braccia verso lo sgabello dell’angolo. Lui si siede piegandosi come un sacco floscio. Lo sguardo è ancora perso nel vuoto.
Un paio di metri più in là Marvin Marvelous Hagler sorride mentre i fratelli Petronelli lo portano in trionfo. A bordo ring finalmente Bertha ha smesso di strillare. Se ne sta in silenzio per un istante, poi cerca di salire sul quadrato. Sorride Bob Arum, una risata riempie il faccione di Rodolfo Sabbatini che gli amici chiamano da sempre capoccione. E non solo per le mille invenzioni della sua vita.
Gli spettatori finalmente avvertono un senso di pace. La guerra è finita. Sono stati travolti da una frenesia inebriante, pericolosa. Hanno sentito scariche elettriche attraversare i loro corpi. Non era solo violenza allo stato puro quella che i duellanti hanno espresso sul ring. C’erano strategia, sentimento, passione. E in meno di nove minuti tutto questo ha attraversato la grande arena del Caesars Palace, confondendosi fra le migliaia di persone che faticano ancora a liberarsi da quella montagna di emozioni.
La guerra è finita. E Marvin Hagler è sempre più Meraviglioso.
Incrocio Rodolfo Sabbatini, ha un sorriso che attraversa l’intero capoccione.
Mi guarda, trattiene a stento una risata, poi pronuncia otto parole che vengono giù come un rombo di tuono, tutte rigorosamente uscite dalla bocca dopo essere passate per una grattugia che le ha regalato quel suono roco, inconfondibile.
“Non dire che non te l’avevo detto…”