Maratoneti sbagliano strada ed elemosinano soldi per tornare allo stadio

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MARATONETI persi nel nulla si trasformano in questuanti in cerca di sodi per comprare un biglietto della metro e tornare dove avevano lasciato ogni cosa, nel Kanteerava Stadium punto di partenza e di arrivo della gara. Il tutto nel traffico più scatenato, ingorghi e smog senza risparmio.

Accade a Bangalore, in quella che chiamano la Silicon Valley dell’India. È una domenica di ottobre, al via si presentano in ottomila. Starter d’eccezione il mitico Haile Gebrselassie.

Il nastro di partenza fatica a tenere a bada i concorrenti. Davanti ci sono i migliori, ma anche un gruppo di guardie della sicurezza. Omoni che sembra non abbiano alcuna intenzione di farsi da parte per lasciare partire la corsa. Gebrselassie lascia cadere il nastro e dà il via al primo incidente. Qualche corridore inciampa, qualche altro va a finire sopra le guardie cadute a terra, tutti rischiano di finire travolti dall’onda dei maratoneti che non vedono e cercano solo la posizione migliore per prendere il passo gara.

Ci sono sei auto della polizia lungo il tracciato che è delimitato da alcune strisce di plastica e qualche sbarra di legno con cui si dovrebbero tenere a bada gli automobilisti. Gli abitanti di Bangalore sono nove milioni e parte di loro non è disposta a rimanere in fila anche di domenica mattina solo perché c’è una maratona in città. Così perdono la pazienza più velocemente di quanto non corrano i maratoneti e invadono il percorso.

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Benvenuti nel caos.

Si corre in mezzo a ogni tipo di mezzo. Pubblico e privato. Autobus, macchine, moto, camion, bicliclette. E non ce ne è uno che non urli, non lanci improperi verso quei tipi in maglietta e pantaloncini che disturbano la loro pace domenicale.

Ma i runners non si arrendono e vanno avanti.

I primi Twitter partono, i giornali si allertano.

Wall Street Journal India e Times of India sono i più attenti.

twitter

A guidare la corsa è un’auto. Per essere più preciso, dovrei dire un pullmino. Quello dei giornalisti. Ma io dico, come si fa a fidarsi dei giornalisti? E infatti quelli, arrivati al chilometro 15 sbagliano direzione e si lanciano verso il nulla, seguiti da una decina di corridori impegnati nella mezza maratona. Dopo quattro chilometri si accorgono di avere sbagliato. Ormai è troppo tardi per rientrare in gara.

Una donna, si sa hanno un sesto senso che a noi manca, devia prima di finire imbottigliata dietro quella macchina-guida che non ha fatto la conversione a U quando avrebbe dovuto. Ma anche le donne sbagliano. Lei lo capisce dopo aver corso a vuoto per cinque chilometri, recuperata da un’auto dell’organizzaaione viene riportata sul tracciato originale.

I nostri maratoneti intanto, dopo avere rinunciato alla gara, stanno cercando di capire come recuperare la retta via. Chiedere informazioni sembra impresa inutile, oltre che faticosa. La lingua con cui comunicare non è la stessa per tutti. E allora decidono di trasformarsi in questuanti. Mendicano 30 rupie, 50 centesimi di euro, per comprare il biglietto della metropolitana che ha una fermata (fortunatamente) vicino al traguardo.

Alla fine tutto si sistema. I fortunati che hanno seguito la macchina giusta portano a termine la gara, i dieci persi nel nulla trovano i soldi per il biglietto e in metro recuperano le proprie cose, la donna riesce miracolsamente a chiudere la prova, gli automobilisti/motociclisti/ciclisti/camionisti scorazzano strombazzando sulle strade tornate finalmente libere.

A fine giornata resta senza risposta una sola domanda.

Ma lo sport è davvero salute?

 

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